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Dove mangio

La nuova avventura di un decano della cucina catanese

05 Febbraio 2013
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E’ difficile che lui lo ammetta, ma sembra chiara la voglia di Carlo Sichel (nella foto)  ad elevarsi ad alfiere della nuova cucina catanese.

Ci ha già provato un paio di volte ma i suoi sogni si sono infranti contro il muro di una lontananza culturale, innata  e irremovibile, che  inviluppa  la cucina etnea. Ferma, salvo rarissime eccezioni, agl’anni ’50 del secolo scorso. Una di queste eccezioni la incarna Carmelo Chiaramonte. E tutti sanno come gli è finita. “Catania? Il deserto della ristorazione!” era il verdetto di Luigi Veronelli che definiva, a chi gliela chiedeva, la sua opinione sull’ argomento. Ma non è il caso di arare solchi sull’antropologia cultural-gastronomica. Anzi sì, ma senza introdurre un virtuale dibattito sui motivi di una ristorazione etnea mai salita alla ribalta nazionale. E solo per spiegare, e  coglierne, i sacri sussurri della cucina regionale, quella dell’autentica tradizione, che lui, Carlo Sichel, ora declina con nuova linfa. Dopo esser stato chiamato, successivamente alle sue due esperienze non proprio positive, al “Carato” prima, e a “Il Cirneco” poi, da due giovani imprenditori catanesi a gestire e lanciare un nuovo ristorante. Un esercizio incastonato in una struttura in cui la cultura si coniuga davvero attraverso due ambiti, sacri e veri pilastri, dei saperi universali: l’arte e la musica.  E’ il “MA” di Catania, un nome dal significato avversativo, al pari di una negazione recisa. Ma qui, come in grammatica, esprime il valore rafforzativo di un’affermazione positiva. Come dire…”MA… anche cucina” un gioco di parole per ingannare l’acronimo che sta per Musica e Arte. Ed è un multiforme complesso, questa grande struttura dal nome piccolo, ubicata nel cuore del centro storico di Catania e che mette assieme auditorio, sul cui palco si esibiscono star del jazz italiano ed internazionale, discoteca e sale espositive per mostre d’arte. A cui ora si aggiunge un caratteristico ristorante per chiuderne il cerchio.

All’ingresso Katia e Stefania addette all’incoming offrono subito a chiunque entri,  la sensazione di sentirsi a casa propria. E Carlo e li davanti nella sua cucina a giorno. Baschetto in testa, aria ironica, e il suo perenne sorriso, di chi incontra l’amico della sua vita, a esplicitare il benvenuto. Appagante per chi non può far a meno dell’insostenibile leggerezza di sentirsi coccolati.  Con lui, altri cinque  formidabili operatori di cucina a formare un pacchetto di mischia  capace di sfamare impeccabilmente un esercito di quattrocento invitati che hanno affollato l’inaugurazione. Insomma, lo charme di un bel ristorante- trattoria che non crea né complessi né disagi. Ma che punta alla concretezza. Una cucina versatile, adatta a molteplici esigenze di gusti.


Interno del locale

Così lo ha concepito Carlo Sichel forte delle esperienze passate. Che con rapidi  flashback così si racconta: la passione, contagiante, di papà Giovanni,  origini austroungariche, affermato professionista, per la cucina; lui a otto anni, gomito a gomito,  a spennargli la cacciagione; le tavolate delle feste, affollatissime, di amici e parenti; la prima spadellata e  il demone dei fornelli che lo tenta; il destino che  lo relega dietro uno sportello bancario; non si dà per vinto e come dottor Jekyll e Mister Hyde esercita le due attività. Apre “Il Carato”, lo chiude. Vive una seconda esperienza con “Il Cirneco”, un localino alle spalle di via Etnea, dall’atmosfera di un bistrot più che di un piccolo ristorante. In mezzo a tutto questo un’esperienza in Sudamerica che forse più lo ha segnato. E colma un bagaglio prezioso di conoscenze  tutte portate al “Ma”. E ben intuibili nell’equilibrio di due menù che strizzano l’occhiolino  anche a chi non vuol staccarsi dalle ricette della tradizione. Con la proposta di godere il piacere di apprezzare una cosa apparentemente nuova, ma che subito si rivela un piatto sempre mangiato. Come i “Paccheri al purè di broccoli, crema di Pecorino nostrano e coulis di acciughe” che altro non sono che la tradizionalissima “Pasta cch’i roccoli arriminati”. Non è una cucina degli inganni. Il “Raviolo di calamaro ripieno di spuma di ricci” appaga il palato e solletica lo spirito. Ed è sincero con la spuma di pecorino piccante.


“Stracotto di vitello, si però…”


Tortina della nonna con pistacchi di Bronte

Non mente neppure il suo “Stracotto di vitello”: non appartiene alla cultura meridionale e lo dice apertamente. E’ una variazione del moderno, cuoce per quattordici ore,  rispetta i suoi umori, li lascia integri e liberi di  aromatizzare il suo sugo e, dulcis in fundo, si lascia sciogliere in bocca. Rispettando la tradizione. Mentono, eccome, le sue fritturine. Ti fanno sentire in una vera trattoria. Ma i poveri pescetti del porticciolo di Ognina non sono pescati e fritti. Vengono prima puliti e diliscati e solo dopo fritti. Così non ti sporchi le mani e non sputacchi le lische. Dite voi “se questo è poco”, oppure è un inganno. Insomma bastano pochi elementi per rendere chiara la filosofia di Carlo Sichel. Tutta giocata sui siti dell’anima: cervello, cuore e stomaco. In ognuno dei quali alberga la metafora di una sua ricetta: la sua “Zuppetta di telline impanata” è la mente. “La calamarata” coi profumi del mare mosso e la sua carica iodata, è il cuore. “La Mortazza”, la mortadella, a fette o a cubetti, per iniziare un pranzo o una cena, il piatto dello stomaco. “Ma dev’esser ben accompagnato da un buon Champagne. Perché è l’effervescenza champenois che genera l’energia positiva e offre la gioia di vivere”.

Come ogni buon cuoco. Che sa bene che “in cucina, l’amore… si chiama allegria!”.

Stefano Gurrera


Ristorante “MA…anche cucina”
Via Vela, 14
95121 Catania
Tel. 095 341153
Carte di credito: tutte
Aperto solo la sera da lunedì al sabato. Chiuso la Domenica