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Eventi e iniziative

Italia ancora timida sul vino No-Low alcol, ma il mercato mondiale accelera

08 Aprile 2025
Il convegno dei dealcolati al Vinitaly Il convegno dei dealcolati al Vinitaly

Si apre in una sala gremita tra stampa di settore, istituzioni e curiosi, il convegno “Zero alcohol e le attese del mercato” durante la terza giornata del Vinitaly 2025. Segno che c’è grande curiosità attorno a questo settore che sembra non essere proprio una moda. Stiamo parlando, dai dati emersi proprio dal convegno, di un settore attuale che vale 2,4 miliardi di dollari e che punta a raggiungere i 3,3 miliardi di dollari nel 2028. Dati dell’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly su base dati Iwsr. Una nicchia di mercato che vanta un tasso di crescita annuale composto (Cagr 2028/24) dell’8% a valore e del 7% a volume i No-Lo rappresentano un segmento in crescita in un contesto che vede il vino in arresto o stabile sia sul fronte dei volumi (-0,9%) che dei valori (+0,3%).

In questo contesto, i dealcolati – che al contrario delle altre categorie No-Lo sono riconosciuti come vini – potranno e dovranno trovare un loro posizionamento. Oltre l’80% delle vendite è realizzato nei primi 5 Paesi, con gli Stati Uniti a dominare il mercato con uno share a valore del 63%, seguiti da Germania (10%), Regno Unito e Australia (entrambe al 4%) e Francia (2%). Ancora molto marginale il consumo in Italia, dove i No-Lo valgono lo 0,1% sul totale delle vendite di vino, per un controvalore sui 3,3 milioni di dollari che – secondo le stime Iwsr – dovrebbe raggiungere i 15 milioni nei prossimi 4 anni, con un Cagr atteso del 47,1%.

“Abbiamo attivato l’Osservatorio Uiv-Vinitaly per un monitoraggio puntuale attento del mercato e dei consumi – ha commentato il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo –, uno strumento fondamentale in questa fase esplorativa. Già da questa edizione di Vinitaly abbiamo uno spazio interamente dedicato alla degustazione di prodotti No-Lo in area Mixology che sta registrando grandissimo interesse sia da parte degli operatori e dei visitatori in fiera”.

“Dobbiamo analizzare il fenomeno con lucidità, come un’opportunità aggiuntiva, certo non risolutiva per il vino italiano – spiega Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini (Uiv) –. Tassi di crescita così elevati riflettono un calcolo numerico a partire da numeri molto bassi, ma resta il dato tangibile di un interesse per un mercato che può rappresentare un alleato importante per le cantine italiane. Abbiamo fotografato una platea di consumatori disposti a sperimentare, sempre meno ancorati ad una sola bevanda. I No-Lo in questo senso sono un’ulteriore possibilità più che un’alternativa, legati a un consumo situazionale. A fare la differenza sarà la qualità del prodotto”.

Un sondaggio realizzato da Unione Italiana Vini ha dimostrato che sono tantissimi i produttori che investirebbero in questo particolare settore (oltre il 60 per cento degli intervistati). Stando ai dati elaborati, in un mercato relativamente maturo come quello degli Stati Uniti, 7 consumatori di no-alcohol wine su 10 bevono anche vino tradizionale, e il tasso di penetrazione di no-alcohol drinks è attorno al 10% sia tra i bevitori di vino che tra gli astemi (12%). Un allineamento che si non è ancora registrato in Italia, dove i no-alcohol drinkers sono il 13% tra gli astemi e solo il 7% tra i consumatori di vino.

Per il responsabile dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, Carlo Flamini: “I principali fattori di scelta abbracciano la salute o comunque uno stile di vita sano, con risposte che ottengono oltre il 30% dei consensi. La preoccupazione per la guida sale ai primi posti per il consumo di zero alcol, menzionata in Italia dal 45% dei consumatori e in America dal 36%, mentre la curiosità è più un driver per i low. Comprendere profondamente le ragioni che potrebbero muovere consumatori di queste bevande verso la scelta di un prodotto a tutti gli effetti “nuovo” implica ragionamenti più olistici, che abbracciano anche la presentazione e il packaging”. Tra gli ostacoli, dall’indagine emerge come sia proprio la reperibilità uno dei fattori che, ad oggi, frenano il consumo di vini No-Lo tra chi già acquista altre bevande a gradazione ridotta o zero.

Ma ci sono anche due questioni che riguardano la produzione in Italia non ancora perfettamente normata. La prima è la questione della divisione dei locali della cantina, ossia la creazione di uno spazio per i vini tradizionali e uno per i vini no o low alcol. “I nostri produttori continuano a realizzare queste tipologie di vino all’estero – spiega il segretario generale di Uiv Paolo Castelletti – Abbiamo chiesto che sia possibile farlo in ambiente promiscuo”. E poi la questione del trattamento fiscale. “C’è stata una modifica sul testo unico delle accise, ma non potrà entrare in vigore prima del prossimo anno. Servirà quindi, come abbiamo chiesto, una norma ponte per non bloccare in Italia questa produzione di vini. Altrimenti questi vini continueranno ad essere prodotti all’estero con conseguente aumento dei prezzi e vendita negli altri mercati in maniera non competitiva con altri paesi”.