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Il caso

Palermo capitale storica degli spaghetti. E adesso senza più nemmeno un pastificio

16 Novembre 2014
pasta pasta

Sospende l'attività uno storico pastificio. A pochi chilometri da Palermo. Ed è un duro colpo all'immagine e alla sostanza del comparto agroalimentare della Sicilia.

Dopo 104 anni di onorato lavoro la Tomasello di Casteldaccia manda in mobilità i suoi dipendenti e tratta il il futuro con un possibile socio. Niente più anelletti, uno dei formati di maggiore successo, nè spaghetti.

Senza entrare nel merito delle cause che hanno portato alla chiusura dello stabilimento di Casteldaccia (crisi, incapacità imprenditoriale, scarsa coesione tra i soci, voglia di mollare, caro-grano o tutte queste cose insieme) non sfugge la beffa per Palermo e il suo territorio. Perchè come tutti gli esperti sanno, il capoluogo siciliano è il luogo dove è nata la pasta secca di grano duro, quella per la quale siamo famosi in tutto il mondo assieme a poche altre cose (Ferrari, moda, pizza…).
Una nascita documentata da testimonianze scritte ci spiega che intorno all'anno Mille gli arabi presenti in Sicilia trovando acqua abbandante e grano duro di alta qualità elaborarono l'idea di fare qualcosa. E fu subito pasta, in un luogo, Trabia, a una decina di chilometri da Casteldaccia dove oggi c'è la Tomasello. E tutto questo, alla luce di quello che sta succedendo, è una sorta di nemesi storica.

Con la chiusura di questo storico marchio non solo sparirebbe un'importante industria agroalimentare ma anche un testimone, un elemento di continuità con un passato che vede questa parte della Sicilia protagonista per uno dei simboli del made in Italy. E non basta l'idea che sempre in provincia ci sia qualche piccolo pastificio nato in epoca recente che resiste e continua a produrre. Resta un duro colpo. L'incapacità di un territorio che non sa difendere con orgoglio un primato storico.

A meno che, come emerge da qualche cronaca, arrivi il socio danaroso, capace e desideroso di salvare marchio e produzione e rilanciare il tutto. Una volta tanto ci sarebbe un lieto fine. Incrociamo le dita.

C.d.G.