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Il personaggio

Giuseppe Biuso e la sua nuova “Vite”: “Qui la mia sfida più grande per la Stella”

17 Gennaio 2024
Giuseppe Biuso Giuseppe Biuso

Per otto anni ha espresso la sua cucina sul magnifico sfondo dell’isola di Vulcano, presso il Therasia Resort, che al recente arrivo di Davide Guidara ha conquistato il record di struttura dotata di due diversi stabilimenti stellati. Nel frattempo, tuttavia, il palermitano Giuseppe Biuso affondava le sue radici anche in Romagna, dove abitano la moglie originaria di Cattolica e i due figli di 8 e 4 anni. Quando il Therasia chiudeva per 5 mesi, ecco che si spostava in una terra altrettanto generosa ed esuberante, che ha infine deciso di scegliere stabilmente. Anche perché c’era una sfida da cogliere: quella del ristorante Vite della Comunità di San Patrignano, che la stella non l’aveva mai avuta, se non quella verde grazie all’autoproduzione di materie prime, datata 2023. Eppure alla struttura, con gli arredi e le suppellettili spesso confezionati da laboratori artigianali interni, la magnifica cucina totalmente aperta e una cantina di tutto rispetto, sembrerebbe non mancare proprio nulla. “Già una decina di anni fa l’intenzione di Muccioli era creare un gourmet: San Patrignano in tutti i campi ha sempre cercato l’eccellenza, dai salumi ai formaggi, alla pizza di Spaccio – si infervora Biuso – Ma all’inizio le brigate erano interamente composte da ragazzi della Comunità, tranne chef e sous chef; quest’anno mi è stata offerta la possibilità di portare con me una squadra di professionisti, con l’eccezione dei commis di sala e di cucina, che arrivano da fine percorso e casualmente già svolgevano la stessa attività nella vita”.

Ma come è andata esattamente? “È successo che in una serata a quattro mani in Romagna ho conosciuto il direttore di San Patrignano e ci siamo scambiati i numeri di telefono. Abbiamo continuato a sentirci, io ero incuriosito dal progetto, nel quale però ravvisavo qualche limite. Quest’estate lo chef precedente è andato via, sono stato ricontattato, ho accettato, dato le dimissioni e finito la stagione a Vulcano. Con il direttore abbiamo rifondato completamente il progetto: ho subito puntualizzato che prima di firmare volevo chiarire alcuni punti. Per me era imprescindibile continuare il mio sogno, quindi cercavo garanzie su numeri e professionalità delle brigate, orari e giorni di apertura. La tipologia di cucina era già nota ed era quella ricercata. Formalmente sono un dipendente della Comunità, quindi il ricavato resta a San Patrignano: l’etica rappresenta un valore fondante del progetto”.

“Sanpa è una vera e proprio industria – prosegue – ha un caseificio, quindi se volessi un formaggio speziato e affinato in un certo modo, non avrei che da chiederlo; poi ci sono i vini, l’olio, la norcineria (ma per ragioni etiche non si macellano più animali, la carne arriva da fuori). Ho fatto una lista di vegetali da piantare, che saranno disponibili in primavera. Qui si produce e vende anche all’esterno, ma un piccolo orto è dedicato esclusivamente al ristorante. Abitandoci quasi metà dell’anno, conoscevo già le materie prime e la cucina locali, che sul piano professionale sto approcciando adesso. Da siciliano cerco di contaminare la Romagna con le mie origini e con quelle che sono le mie passioni, come le spezie esotiche o gli aceti, cosicché i piatti hanno spesso note acide. Dalla Sicilia faccio arrivare il cioccolato di Modica, che non può mai mancare; poi c’è qualche citazione, come l’arancino in amuse-bouche (in realtà una sfera di crema di broccolo e vino alla catanese, senza riso), il sommacco, che sull’isola cresce spontaneo, o la mandorla”.

“Per me non è stato facile staccarmi da un progetto che amavo profondamente e che mi ha dato tante soddisfazioni. Qui la sfida è raggiungere una stella che non è mai arrivata, non lo nascondo, trovando nel contempo la quadratura con la mia vita privata. Sarebbe una rivincita per tutta la Comunità. Ma il progetto è ancora in progress: c’è molta terra e data la forte impronta etica, nei piani c’è un secondo ristorante totalmente vegetariano, per quest’estate o al massimo per il prossimo anno”. Insieme a Biuso sono sbarcati in Romagna il sommelier, che sta ampliando e ripensando la cantina, e il sous-chef storico Gianluca Sottile, affiancato dal junior Marco Celentano e dalla pastry chef Ambra Serenelli.
Biuso ha avuto maestri di chiara fama, come Nino di Costanzo e Antonino Cannavacciuolo. “Il primo era l’estro, mi ha aperto la testa; il secondo il sapore. Ma da tempo lavoro a una cucina personale. Da siciliano amo l’isola in modo viscerale, ma negli anni mi sono stancato di rivisitare. I miei piatti sono pensati, ripensati, assaggiati mille volte e messi sempre in discussione. Li modifico continuamente perché voglio che siano buoni e per tutti, sempre con un pensiero gustativo”.

Se lo storico signature del cannolo ha attraversato l’Italia (oggi è in carta in versione invernale, con fungo cardoncello, formaggio erborinato, aneto e una provvidenziale spolverata di cioccolato di Modica al tavolo), dalla Sicilia arriva anche l’uso ricorrente e mai ripetitivo della frutta secca, vero grasso mediterraneo: la tahina di sesamo con anatra affumicata, pesce marinato, tamarindo acidulo e paprica, curiosa composizione senza centro né protagonista; la salsa di noci dello spaghettone con chimichurri di ortica da foraging, cannolicchi per la nota iodata e polvere di sommacco, modello burrida; la crema di mandorle abbrustolite dell’anguilla in doppia cottura al sidro. Romagnolo invece il risotto, nato dai prodotti della Comunità, lo squacquerone e l’aceto Balsamico, ma rinfrescato dal mandarino in un tripudio di semplicità ben centrata.