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Il caso

Sicuri che il migliore caffè espresso sia italiano? Crolla il mito della “tazzulella ‘e cafè”

04 Giugno 2019
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La trasmissione di inchiesta giornalistica Report torna sul mondo del caffé e demolisce il “Gambrinus” di Napoli. Poche le certezze di provenienza del caffè. E intanto a Forlì c'è chi il caffé lo fa in maniera scientifica


(Andrej Godina e Mauro Illiano)

di Francesca Landolina

Report, il programma di Rai 3 che ha fatto la storia nell'ambito del giornalismo investigativo in tv, torna sul tema del caffè e crolla il mito della “tazzulella ‘e cafè” partenopea. E con esso, la convinzione, più in generale, che il miglior espresso sia quello italiano. 

Dopo 5 anni dalla prima inchiesta giornalistica sull’argomento, il giornalista Bernardo Iovene di Report torna infatti a Napoli, con alcuni esperti assaggiatori, tra i quali Andrej Godina, caffesperto, trainer autorizzato della Sca (Specialty Coffee Association), assaggiatore professionista e docente (è stato anche l’animatore di una masterclass organizzata da noi a Taormina Gourmet 2015). Insieme percorrono la penisola da nord a sud analizzando i cambiamenti nella qualità del caffè e la conoscenza del prodotto da parte dei baristi. E subito crollano le certezze.  Sicuri che il migliore caffè si beva in Italia? Ebbene, sembrerebbe che siamo tra i peggiori importatori di caffè al mondo perché i nostri bar sono ostaggio delle torrefazioni. Quali miscele si comprano? E le macchine utilizzate sono pulite? E l’acqua con la quale si prepara il caffè? Insomma, il rischio “ciofeca” è dietro l’angolo. Lo smascheramento parte proprio da Napoli, città simbolo della tazzulella. 

Rispettando precisi parametri condivisi internazionalmente e accettati come standard da chi fa questa professione, in particolare dalla community della Sca viene applicato lo stesso criterio di valutazione utilizzato in un laboratorio di analisi: prima di tutto l’individuazione di possibili difetti presenti in tazza a partire da quelli visivi, olfattivi, gustativi e tattili, per poi descrivere le caratteristiche positive dell’espresso. A ogni tazzina sono assegnati dei punteggi qualitativi, da un minimo di 1 fino a un massimo di 10. Se fino a cinque anni fa i caffè di Napoli si aggiudicavano un voto pari a 3,5 adesso si arriva al 4,5 – 5. Questo vale anche per il rinomato caffè Gambrinus, nel quale la troupe di Report torna con alcuni esperti, tra i quali il giornalista Luciano Pignataro. Il caffè napoletano non convince. E la stessa cosa vale per altri bar rinomati, come la Torrefazione Moreno, il Mexico e il Caffè vero bar del professore. Godina analizza tazzina dopo tazzina insieme al napoletano Mauro Illiano (analista sensoriale Ais Napoli), ma il risultato non soddisfa. Emergono difetti chiari: la costante, seppur lieve a volte, nota di rancido, l’astringenza, l’amaro. Si annullano gli aromi del chicco di caffè, sempre troppo tostato. E in quasi tutti i casi, i titolari sconoscono la provenienza del loro caffè. “Miscela segreta”, dicono. E difendono il mito del caffè napoletano, perché così com’è, piace. “C’è il caffè italiano – affermano i vari titolari – e poi c’è quello napoletano che esce dagli schemi e non può essere valutato attraverso criteri standard”. E qualcuno propone di farlo diventare patrimonio Unesco. Insomma, per dirla in modo pirandelliano “così è se vi pare”. 

Ma la qualità è un’altra cosa e se da una parte ci sono le “miscele segrete” napoletane, dall’altra ci sono gli specialty coffee sparsi in Italia, che stanno rivoluzionando l’approccio al mondo del caffè. Sono bar specializzati in cui è possibile trovare caffè dalla provenienza certa (Etiopia, Colombia, Brasile, Ruanda). I titolari sono giovani, che viaggiano molto e che selezionano i loro caffè, conoscendo direttamente i produttori. I chicchi tostati senza eccessi rimangono di colore medio chiaro e sprigionano numerosi aromi. E, in modo sorprendente, alla fine del tour, dopo tantissime tazzine mandate giù, si trova il miglior caffè d’Italia. Dove? Ironia della sorte, a Forlì. A farlo è il giovane Ruberns Gardelli, al quale va un voto pari a 9,5. Da lui un caffè può costare dagli 8 ai 25 euro. Ma la sua storia è tutta diversa. Non ci sono segreti se si chiede la provenienza, il caffè è macinato direttamente nel filtro, i grammi sono pesati tazzina dopo tazzina, l’acqua esce sempre pulita dalla macchina del caffè, anch’essa pulita. Nella tazzina, si trovano aromi di marzapane, caramello, arancia rossa. 

A dare scuola agli italiani sono perfino gli americani con il nuovo Starbucks, aperto a Milano. La catena conta 30 mila store al mondo. Professionalità impeccabile. Un caffè tostato, da Starbucks, viaggia dai tubi alla tazzina. E tutto è alla vista del consumatore. Solo 100 per 100 arabica. Nessun segreto tra miscele e origini. Baristi formati e appassionati. Ci sono caffè di tutti i tipi (a goccia, a filtro) ma l’espresso, simbolo dell’Italia, si aggiudica un 7,5, a volte un 8, come voto. E l’America batte Napoli. In più, se il mito dell’espresso italiano crolla, immaginate cosa esce dalle macchine distributrici automatiche di caffè? Nella bevanda, odori di muffa, legno, cacao, terra bagnata, muschio, straccio bagnato, bastoncino di liquirizia. Voto 2 e mezzo. 

Una piccola curiosità si aggiunge al quadro tracciato. Cresce molto il ginseng in Italia. Ma attenzione, si crede di godere dei benefici della radice rossa coreana, mentre il contenuto di estratto di radice, proposto in una tazzina è solo dello 0,04 per cento. Il resto? Un mix di zuccheri e additivi chimici, grassi di cocco, glucosio, grassi con emulsionanti, coloranti, additivi, un mix chimico. E le varianti “dolci” contengono 14 grammi di zuccheri a tazzina.