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L'intervista

Giuseppe Liberatore e i 25 anni di Chianti Classico: “Così è diventato un grande vino”

28 Luglio 2017
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Il 31 agosto il direttore lascerà l'incarico assunto nel 1992: “Lascio un Consorzio in salute. E un territorio che questo vino è stato in grado di rivoluzionare”

di Giorgio Vaiana

Dal 31 agosto non sarà più il direttore del consorzio Chianti Classico. Giuseppe Liberatore lascia un incarico che ha tenuto per 25 anni per trasferirsi a Valoritalia, la società che ha contribuito a far nascere nel 2008. 

“Emozionato? Per ora mi godo le vacanze”, dice nel corso della nostra lunga chiacchierata. Molisano di nascita, toscano di adozione, Giuseppe Liberatore è uno degli uomini chiave per il successo odierno del Consorzio Chianti Classico che conta oggi 580 soci, 6.500 ettari produttivi su 7.200 iscritti all'albo, 40 milioni di bottiglie, un fatturato che sfiora i 300 milioni di euro, un export del 78 per cento. “E continuiamo a crescere – spiega Liberatore  – Dal 2009 ad oggi, mese di giugno compreso, il segno è stato sempre positivo. E’ cresciuto anche il mercato interno che ha toccato quota 22 per cento, 4 punti percentuali in più rispetto a poco tempo fa”. Dalla sede a Sant’Andrea in Percussina in provincia di Firenze dal 1992 al 2012, alla nuova sede del consorzio a Tavernelle Val di Pesa, sempre in provincia di Firenze. Ma la sua avventura nel mondo del vino è iniziata a Roma. “Ho iniziato nella Capitale nel mondo delle cooperative, con quella che si chiamava FederCantine – racconta Liberatore – poi venni chiamato a fare il segretario generale dell’ente per la valorizzazione del vino che fu formato dal Governo Nazionale di allora per gestire lo scandalo del metanolo. I miei impegni furono quelli di educare ed informare il pubblico al mondo del vino, dimostrare che non c’entravamo nulla con quello che la cronaca aveva raccontato”. Liberatore racconta di questa esperienza romana come il punto massimo della sua formazione nel mondo del vino: “Fu fondamentale – dice – Ho acquisito la maggior parte delle mie competenze che poi ho messo a disposizione del mondo del Chianti Classico”.


Queste competenze furono notate dall’allora presidente del consorzio Lapo Mazzei: “Mi chiamò a Firenze, mi fece la classica proposta che non potevo rifiutare e divenni in un colpo solo direttore del consorzio del Gallo Nero e amministratore delegato del consorzio Chianti Classico”. Già, perché nel 1992 esistevano due consorzi sullo stesso vino: “Siamo arrivati fino al 2005 per capire che uniti avremmo vinto – dice Liberatore – Lo dico sempre ai miei: i consorzi non sono società per azioni. Le cose vanno fatte con calma, lasciate decantare”. Eppure in questi 25 anni di lavoro, Liberatore di cose buone ne ha fatte per il consorzio. “Se ci penso mi viene in mente subito la nomina Unesco, l’amicizia con i vigneron dello Champagne, il distretto rurale – dice Liberatore – che rappresentano il futuro del consorzio per i prossimi 20 anni almeno. Ma, lo dico con un pizzico di orgoglio, siamo riusciti a trasformare quello che era visto come un vino “da battaglia” in un vino di eccellenza incredibile riconosciuta in tutto il mondo”. Perché appena 25 anni fa (“ma sembra un secolo”, dice Liberatore), la visione del Chianti Classico era molto diversa: “Prima un vino da fiaschi, da tavola in compagnia di amici, poi mescolato con i vitigni internazionali, infine l’espressione più bella e buona del Sangiovese”, racconta Liberatore. Che elenca le infinite operazioni di comunicazione e marketing compiute in questi anni di duro lavoro: “Non lo dico perché l’ho condotto io, ma credo che il consorzio del Chianti Classico sia un esempio per tutti gli altri consorzi italiani – dice – Lascio una struttura in ottima salute, molto professionale, che ha una rappresentatività di oltre il 96 per cento degli aderenti al Chianti Classico”.

Un consorzio che è sempre stato al passo con i tempi, “tanto che negli ultimi 5 anni abbiamo fatto 3 modifiche al disciplinare e sono certo che ce ne saranno a breve delle altre, con l’aggiunzione delle menzioni geografiche e la Gran Selezione – spiega Liberatore – Mi preoccuperei se il disciplinare fosse ancorato alla cultura di 25 anni fa. Il tempo passa e i disciplinari vanno modificati”. E poi la ricerca: “I nostri laboratori hanno creato e selezionato otto cloni di Sangiovese. E lasciatemelo dire, la versione in purezza di questi vitigni non teme confronti con nessuno”. Liberatore nel Consorzio ha portato una ventata di novità, ma soprattutto ha portato quel sano ottimismo che mancava: “Già, perché qui i produttori hanno investito e creduto in questo territorio – racconta – Siamo diventati una struttura polivalente, e non mi piace definirlo solo un consorzio. Siamo una galassia di tante cose che si intersecano e interagiscono, come il mondo dell’olio, il mondo della company, le strade del vino e dell’olio. Insomma siamo riusciti a creare un sistema nel quale il Chianti Classico è il perno centrale, ma attorno ruota un’economia che ha scosso in maniera positiva questo territorio”. Dall’altro lato i produttori hanno capito l’importanza di investire e di credere nel proprio lavoro: tanto che negli ultimi vent’anni, il 70 per cento del vigneto del Chianti Classico è stato rinnovato con un investimento che ha superato i 300 milioni di euro: “E molti produttori – dice Liberatore – lo hanno fatto anche durante i periodi negativi, perché erano consapevoli che si stava andando nella giusta direzione. Oggi ci sono tantissime aziende italiane ed estere che investono da queste parti. Gli ultimi sono Antinori e Frescobaldi solo per fare due nomi importanti. Ma ci sono fondi stranieri che comprano proprietà che magari i titolari non possono lasciare in eredità ai figli. Un’estrema dinamicità che fa solo bene”.  

Accanto al Chianti Classico ci sono i cugini del Chianti. I due consorzi sono spesso messi in competizione tra di loro: “Devo dire che con la presidente di Giovanni Busi negli ultimi 5 anni il consorzio del Chianti sta facendo bene – dice Liberatore – Devono però, puntare molto di più sulla valorizzazione, per essere più remunerativi. Credo ci sia un momento di sofferenza, ma ci sono ampi margini di miglioramento”. In questi 25 anni sono circolati tantissimi presidenti al consorzio del Chianti Classico: “Gli altri non me ne vorranno, ma ricorderò sempre Lapo Mazzei che mi ha voluto fortemente a questo consorzio – racconta Liberatore – poi Vittorio Pozzesi per la serietà e l’impegno che ha messo nel ricoprire questo incarico prestigioso e Carlo Mascheroni, presidente per un paio di anni ma che ricordo con stima e simpatia”. Quest’anno per il consorzio sarà un anno difficile. Oltre al direttore, dovrà essere nominato anche il nuovo presidente: “Certo capisco che non sarà facile sostituire una persona dopo 25 anni, ma sono sicuro che il Cda saprà fare la scelta giusta – dice Liberatore – Per ora si navigherà a vista. Ho assegnato alcune deleghe. Alla fine dell’anno conosceremo il nome nuovo. Anche di quello del presidente. I miei pronostici? Non ne faccio, ma il Cda dovrà prendersi tutto il tempo necessario”. Liberatore non lascerà Firenze, “Valoritalia ha una sede anche qui, ci verrò almeno un paio di giorni a settimana, poi sarò tra Roma e le altre 28 sedi sparse sul territorio nazionale”; in questo periodo, a parte una breve sosta per le vacanze, sta facendo il doppio lavoro: “Da un lato sto lasciando le consegne al Consorzio – dice Liberatore – dall’altro le sto prendendo da Valoritalia”. Non si pente della scelta fatta: “Dopo 25 anni di servizio avevo bisogno di nuovi stimoli, di nuove cose – dice Liberatore – e la proposta di Valoritalia mi ha convinto. D’altronde la sento un po’ come una cosa mia”. Ma continuerà a bere Chianti Classico? “Ovvio – dice – sempre. Lo tradirò solo con i Pinot Neri, che comunque mi sembrano vini molto simili ai Sangiovese. Lo dico sempre: il Chianti Classico assomiglia ai vini della Borgogna e non dei Bordeaux. Per questo cerco sempre i migliori Pinot Neri del mondo, per confrontarli con i miei Chianti Classico”.