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L'intervista

Isabella Potì: “Il mondo della cucina italiana ora è in mano alla new generation”

13 Agosto 2020
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di Giorgio Vaiana

Bella, talentuosa e con le idee chiare. Lei è Isabella Potì, pastry chef del ristorante stellato Bros’ di Lecce e compagna di vita dello chef Floriano Pellegrino.

Venticinque anni, ma una vita fatta di tantissime esperienza all’estero, come quella a Londra con Claude Bosi o in Spagna con Paco Torreblanca e Berasategui o ancora a Copenaghen da Geranium o al Mirazur di Menton, il miglior ristorante al mondo secondo la classifica del The World’s 50 Best Restaurants. La mamma è di origini polacche, mentre il padre è leccese. Isabella è innamorata del suo lavoro. Nel vero senso della parola. Ama studiare e studiare e poi provare e riprovare un piatto fino a che non sia perfetto. “Fin da piccola – racconta – ho capito che la cucina era il mio mondo, il posto dove mi piaceva stare. Mi sentivo davvero a mio agio. Impastavo e facevo i dolci con mamma e nonna. E quando lei cucinava ero sempre lì, a guardarla. Quello è stato il mio primo approccio alla cucina”. Poi è arrivato l’alberghiero: “A dodici anni sapevo già quello che volevo fare – dice Isabella – L’alberghiero è stato il trampolino, il primo aggancio con il mondo della cucina”. Una passione, quella di Isbella che, a differenza di quanto si crede, non è legata solo al mondo della pasticceria: “Mi piace la cucina in generale – dice Isabella – Non ho l’arcaica visione di “lo chef cucina i piatti e il pasticciere i dolci”. C’è ancora la convinzione che il mondo della pasticceria sia complesso, con tante sfumature, hai bisogno di esperienza. Ma ormai non c’è differenza tra cucina e pasticceria. Le ricette sono millimetriche, le grammature precise al millimetro in tutti e due settori. Il distacco tra cucina e pasticceria oggi è solo nella testa delle persone e non degli addetti ai lavori”.

Bros’ è casa loro da cinque anni ormai. “Ci siamo presi un rischio qualche tempo fa – dice Isabella – Ma chi non si prende rischi non mangerà mai frutti buoni. Aprire a Lecce è stato difficile, ma credo che aprire in un’altra città non ci avrebbe garantito un successo più immediato. Alla fine un nuovo ristorante è complesso ovunque. Ora la gente si è abituata a noi, ci conosce, ha capito cos’è il fine dining, che sia a Lecce che nel Salento c’è ben poco. Siamo contenti di aver iniziato il percorso Bros’ e di portarlo avanti, di farlo evolvere, cambiando i menù. Cerchiamo di fare del nostro meglio per portarlo sempre più su”. E proprio Bros’ è al centro delle idee di Isaabella e Floriano: “Vorremmo esportare il nostro concetto di Bros’ e quindi ingrandirci – spiega Isabella – Un concetto a tutto tondo, con un orto accanto al ristorante, tutto quanto quindi a portata di mano. Una sorta di chiusura del cerchio dopo aver aperto Roots, la trattoria ancestrale”. E poi c’è il rugby, il loro progetto sociale: “Cercheremo di portare avanti la nostra iniziativa, cercando di accogliere anche bambini più piccoli, per toglierli dalla strada e tenerli impegnati. E’ un po’ il senso del riscatto sociale, quello che abbiamo avuto io e Floriano che proveniamo da famiglie molto umili”. E a proposito di giovani, lei che ha 25 anni ma che è navigata ormai, cosa ne pensa dei giovani che si avvicinano al mondo della cucina? “Dobbiamo puntare ancora di più su questa new generation – dice Isabella – E’ vero che i grandi chef italiani ci saranno ancora per un po’, ma dobbiamo iniziare prendere in mano le redini e costruire il futuro della ristorazione italiana”.

Per Isabella il ritorno nella ristorazione italiana alla tradizione sarà naturale, “non parlo solo della cucina di casa nostra – dice – ma anche all’approccio alla cucina e al cibo in generale”. E loro ne sono i veri maestri: “Sin da quando abbiamo aperto Bros’ – racconta – Ma tradizione non vuol dire solo “local”. Oggi viviamo in un mondo globalizzato e quindi, faccio un esempio, chi non conosce la soia? Mi pare che la parola “territorio” sia diventata troppo inflazionata. Non partiamo dall’ingrediente per fare un piatto, ma dal gusto che vogliamo creare per realizzarlo”. E lei come procede? “Io penso a un piatto, o dolce che sia, e mi immagino i gusti che vorrei dare: dolce, salato, aspro, amaro. E poi cerco gli ingredienti, anche del territorio. Li lego molto alla stagionalità. Oggi il nostro menù è molto fresco, con un massiccio uso delle verdure, del gusto acido di aceto e limone, non ci basiamo mai solo sulla tecnica fine a se stessa”. E poi conclude: “Con i dolci è la stessa cosa – dice Isabella – Se un menu è creato per avere un senso logico, deve averlo fino alla piccola pasticceria, quindi fino al’ultima portata. E quindi per esempio, nel nostro menu attuale il percorso si conclude con un’anguria sotto sale con spumone di formaggio e aceto di peperone verde”. Il lockdown ha lasciato segni importanti nel loro modo di intendere la ristorazione: “E’ vero che secondo me ci sarà un aumento delle persone che ordineranno da casa attraverso i servizi di delivery – dice Isabella – Ma noi, testando questa cosa, abbiamo capito che l’esperienza che hai al ristorante non puoi certo averla a casa. E quindi delivery va bene, ma i ristoranti rimarranno pieni”.