Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervista

Olio, la differenza che servirà. Di Lorenzo: “Puntare sulle varietà autoctone per i mercati”

22 Dicembre 2020

di Francesca Landolina

Come sta l’olio extravergine d’oliva siciliano? Lo abbiamo chiesto a Mario Di Lorenzo, patron di Feudo Disisa, azienda produttrice di vino e di olio, riconosciuta a livello internazionale, nel territorio di Monreale in provincia di Palermo.

L’azienda negli anni ha ottenuto numerosi riconoscimenti e da otto anni Flos Olei, prima guida internazionale a firma Marco Oreggia, la premia con la valutazione di 96/100.

Come sta l’olio siciliano?
“Sta bene dal punto di vista qualitativo; negli ultimi 20 anni l’aumento di qualità è stato enorme. Nel complesso, è cresciuto anche in termini di riconoscibilità”.

Quali caratteristiche ha l’annata 2020?
“Un’annata particolare, non uniforme, in alcune zone è andata male dal punto di vista quantitativo, in altre bene. Per noi è stata ottima per qualità, non c’è stato nessun attacco di mosca grazie alle condizioni climatiche favorevoli. Consideriamo la 2020 un’annata abbastanza asciutta per le scarse piogge. Ciò significa che lì dove ci sono terreni freschi l’olio viene concentrato e meno diluito, più aromatico. In zone troppo asciutte le olive possono aver sofferto. Nel nostro caso però al 90 per cento dei casi, le olive sono state raccolte in perfetto stato, perché gli alberi con poco più di cento anni hanno un apparato radicale molto ampio che consente di raggiungere umidità; per gli alberi giovani, di circa una ventina d’anni, invece interveniamo con l’impianto di irrigazione. L’annata è asciutta, non troppo carica, e abbiamo iniziato prestissimo la nostra raccolta. Siamo a 500 metri d’altitudine sul livello del mare e abbiamo iniziato il 1 di ottobre, in anticipo di almeno 2 settimane rispetto agli anni passati. Nocellara e Cerasuola sono eccezionali, lavoriamo anche a due fasi senza aggiunta di acqua nel sistema di lavorazione, così non perdiamo concentrazione e polifenoli”.

Quali cultivar coltivate e in quali quantità sono state raccolte?
“In termini di quantità, abbiamo raccolto il 10 per cento in più rispetto allo scorso anno. E siamo arrivati a 310 ettolitri di olio. Le nostre cultivar sono al 75 per cento Cerasuola, al 20 per cento Nocellara e al 10 Biancolilla. Ma tra tutte, amo particolarmente la Cerasuola perché mantiene nel tempo caratteristiche eccezionali. Chiaramente parliamo di olio, non di vino, e sappiamo che il tempo è nemico, però la Cerasuola risponde in maniera migliore al passare del tempo, per una maggiore quantità di antiossidanti presenti in essa”.

Quante piante allevate?
“Gli ettari di uliveto sono 70, per 10 mila piante. Abbiamo alberi vecchi con sesto di impianto 10 per 10 e alberi più giovani, di circa 20 anni, con sesto di impianto 6 per 5”.

Olio filtrato o non filtrato?
“Filtro l’olio da tre anni. Bisogna riconoscere una verità: l’olio filtrato perde alcune sostanze, ma diventa più stabile. Non deposita la morchia sul fondo della bottiglia, nel tempo, e non da cattivi odori. Se si filtra, l’olio è dunque stabile e dura di più. Detto ciò consiglio di degustare l’olio non filtrato, nuovissimo, almeno una volta nella vita”.

Che tipo di sistema di potatura adottate?
“Differente in base al tipo di impianto. Facciamo potature che ci agevolano durante la raccolta. Per gli alberi più grandi diamo una forma ad ombrello. Per le piante giovani la potatura è più semplice, con tronco centrale e ramificazioni piccole laterali. Cominciamo a febbraio e potiamo fino a fine aprile. In passato si potava ad anni alternati, oggi spesso e meno: preferiamo non fare potature drastiche per influenzare meno la produzione e per mantenere curata la pianta”.

Manca qualcosa alla comunicazione dell’olio oggi?
“Manca la comunicazione a livello più dettagliato. Ovviamente oggi tutti abbiamo l’olio extravergine d’oliva a tavola, ma molti non si soffermano su ciò che consumano. La gente è abituata ad una certa tipologia di olio e non avverte differenza finché non assaggia olio di qualità. Se parliamo di vino è diverso, perché il vino oggi è qualcosa di costume, la gente va in un wine bar e sceglie cosa bere. Se invece vai al ristorante chiedi l’olio e non ti aspetti varietà. Cambia anche la facilità di approccio, il vino è più conviviale, l’olio è un condimento. Bisognerebbe far riflettere di più sull’importanza dell’olio, non solo per la salute, ma anche come alimento che può variare il gusto di un piatto, esaltandolo o meno”.

Il consumatore oggi non è più attento?
“Più attento di prima sì, ma c’è molto da fare. La conoscenza dell’olio è un processo legato alla cultura. Richiede tempo”.

Quante sono le vostre etichette di olio?
“Produciamo due etichette di Cerasuola, una convenzionale e una biologica, poi un’etichetta, chiamata Tesoro,che nasce dal blend di Biancolilla, Nocellara del Belice e Cerasuola (tutte distribuite al 33 per cento). Produciamo 40 mila bottiglie di Cerasuola, 5 mila di Cerasuola bio e 5 mila di Tesoro”.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?
Vendiamo di più all’estero, per l’85 per cento. In Inghilterra, Francia, Giappone, Stati Uniti, Svizzera. La restante parte in Italia e in Sicilia.

Quale il futuro dell’olio siciliano?
“Penso che in Sicilia possiamo continuare a crescere e che il nostro l’olio si può affermare nei mercati internazionali, ma facendo qualità e con le varietà autoctone. Ci sono tante cultivar e ce ne sono alcune molto conosciute a livello internazionale, ognuna con caratteristiche tipiche. Questa diversità è un valore aggiunto. Bisogna rimarcare le differenze”.