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L'intervista

Sarah Abbott (MW): “Vi spiego perché le vecchie vigne danno vini buonissimi”

03 Giugno 2021

di Irene Marcianò

Quando parliamo di vecchie vigne e del loro valore ricordiamo spesso la qualità del vino che se ne ottiene, ma dimentichiamo spesso l’importanza e la ricchezza di questa eredità per la biodiversità.

Oggi più che mai occorre fare rete non solo per proteggere questa categoria, ma anche per darle il giusto valore nel mercato. Abbiamo intervistato Sarah Abbott, Master of Wine, promotrice del progetto Old Vine Conference.

Da dove nasce l’idea della Old Vine Conference?
“Sono da sempre interessata alla cultura, al patrimonio e all’umanità del vino. Riguardo alla Old Vine Conference, è stata una scoperta inattesa. Da una passione è nato un lavoro svolto sia con le regioni vinicole italiane sia con i Paesi vinicoli emergenti come la Georgia, la Turchia, che hanno una cultura molto antica. Volevo condividere questo interesse e pertanto ho iniziato a collaborare con i miei attuali partner: Leo Austin e Alun Griffiths, Master of Wine come me. Questo movimento che sottolinea l’importanza del patrimonio dato dalle vecchie viti, è attivo ormai da 20 anni. Jancis Robinson MW, tra i più importanti influencer di vino nel mondo, per esempio, da quasi 20 anni scrive di questo, citando anche del progetto sudafricano (South African Old Vines project), nato allo scopo di mettere sotto un’unica categoria i vini prodotti da vecchie viti, attraverso l’ottenimento di una certificazione; e altre organizzazioni come Barossa Old Vine Charter, Save the Old negli Stati Uniti, Old Vine Collective in Cile. Quello che stiamo facendo quindi non è qualcosa di nuovo, nel senso che il mondo del vino già accetta il concetto delle vecchie viti come ricchezza dal punto di visto dell’eredità, del terroir, di interazione con il luogo e le pratiche tradizionali, nonché di una sorta di profonda saggezza agricola. Ma quello di cui mi sono resa conto durante i miei viaggi nel mondo per lavoro, è stata la moltitudine di persone influenti che lavorano su incredibili progetti per la protezione e rigenerazione delle vecchie viti, per mantenere la prosperità e la sostenibilità della comunità agricola. Molte di queste persone non conoscevano l’esistenza l’una dell’altra”.

Dunque, qual è lo scopo di The Old Vine Conference?
“Il progetto vuole essere una connessione tra questi individui e organizzazioni. Perché il paradosso dei grandi vini provenienti da vecchie vigne è che, da una parte ci sono alcuni dei più grandi produttori di vino del mondo che credono fermamente in questo e ottengono grandi riconoscimenti. D’altra parte, per la maggior parte dei consumatori, il termine “vecchia vite” non significa nulla. Senza una categoria è difficile per questi vini ottenere il giusto valore nel mercato. Uno degli obiettivi, pertanto, è amplificare il grande lavoro fatto sulla diffusione del messaggio circa l’importanza del patrimonio della vecchia vite e condividere le “best practice”. L’altro obiettivo è quello di coinvolgere produttori, viticoltori, grandi aziende, così come importatori e distributori nel mercato, che possano parlare di questa categoria di vino e implementare nuove strategie. Più diffondi questa categoria nel mercato, più è facile ottenere credibilità e valore. Il progetto sudafricano, per esempio, ha cambiato la dinamica del mercato, ottenendo un aumento medio del valore dell’uva e del prezzo pagato ai viticoltori. Il problema principale non è la resa bassa di questi vigneti, ma una sorta di intimità nella conoscenza del prodotto. Alla nostra prima conferenza abbiamo avuto con noi Marco Simonit, fondatore della Scuola di Potatura della Vite Simonit&Sirch Vine Master Pruners, che ha spiegato che vecchia vite non significa automaticamente, per un agricoltore, sacrificare metà della resa. Per garantire longevità alla vite, bisogna rendersi conto che si tratta di una relazione tra coltivatori e la vite stessa, lunga una vita. Le ricompense sono alte perché le vecchie viti hanno un’interazione genetica con l’ambiente. Con il tempo diventano altamente adattive, resilienti, dando profonda espressione del terroir”.

Pensa che il vino prodotto da vecchie vigne abbia un vantaggio sugli altri e, se sì, perché?
“Sì, può averlo. Ovviamente non è soltanto questione della vigna vecchia, ma anche del vitigno piantato in quel determinato luogo e il suo adattamento all’ambiente circostante. Il vigneto tra l’altro, deve essere sano e curato e il vino deve essere fatto bene, professionalmente. Tutte queste cose devono essere in equilibrio. Quello che trovo nel vino prodotto da vigne vecchie è un tipo di profondità che non riguarda necessariamente la concentrazione, ma riguarda le sfumature che puoi riscontrare al palato. È un vino ricco di sentori, simbolismo ed eredità. Inoltre, è necessario del sacrificio per mantenere queste viti nel terreno e uno sforzo da parte del produttore, che investe davvero nel buon vino. Penso che questa sia una delle partnership più intime tra la natura e gli uomini. Non si fanno vini necessariamente eccezionali, si fanno forse vini unici, anche grazie alla passione delle persone. Dalle ricerche emerge che in questi vini il frutto è spesso molto ben bilanciato, e nelle annate molto calde, ad esempio, l’acidità viene comunque mantenuta. Sappiamo che i vini più famosi al mondo sono ottenuti da vigne vecchie ma spesso viene fatta un’affermazione secondo cui le vecchie vite hanno resa e concentrazione estremamente basse. In realtà la ricerca suggerisce che c’è un difetto di resa moderato ma se le viti sono in salute non c’è motivo per cui perdano. Si tratta più di composizione, equilibrio e frutta.

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