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La degustazione

Vignaioli indipendenti, dieci volti della Fivi. E soprattutto dieci vini da non perdere

05 Dicembre 2013
fivi fivi

di Francesca Ciancio

Il mercato della FIVI, quello della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, è la fiera di vino a cui vorrei partecipare più spesso.

 Un padiglione grande il giusto – della Fiera di Piacenza – 240 produttori, molto spazio tra le fila dei banchetti, produttori rilassati e ben disposti alla conversazione, appassionati seri e al contempo divertiti (insomma niente ubriaconi a fine serata); possibilità di acquisto dei vini assaggiati a prezzi sorgente. Un gran bel colpo d’occhio sullo stato generale del vino italiano dei piccoli e medi produttori che raccontano un paese vitale e che fa bene il proprio lavoro. Al netto della burocrazia, s’intende. Unico neo – a cui l’organizzazione ha promesso di rimediare – una più chiara corrispondenza tra la guida-piantina e la numerazione dei banchetti. Bello passeggiare random, ma se hai poco tempo, vuoi andare dritto alla meta. Pollice su anche per la parola “artigianale” che – almeno per due giorni – ha spazzato via quella “naturale”. Di vino se n’è venduto e anche di formaggio, salumi e conserve. E si è pranzato alla tavola calda dell’Antica Corte Pallavicina, roba rustica ma dalla bella soddisfazione “naso-palatale”.

La formula funziona, soprattutto tra i winelovers. Un po’ meno nei palazzi della politica. Gli ultimi tre ministri dell’Agricoltura hanno ricevuto diverse proposte dalla Fivi per il miglioramento legislativo in campo vitivinicolo. Il dossier Burocrazia, l’ha consegnato la neo presidentessa Matilde Poggi nella mani della De Girolamo. Succedeva questa primavera. Al momento nessuna risposta. E fa riflettere che il corrispettivo francese della Fivi – tutti presenti nella rete europea Cevi – è il principale interlocutore del governo in materia. Ma…Nunc Est Bibendum: 10 facce per 10 vini.

Azienda Mattia Filippi
Giovane lui, giovane l’azienda – nata nel 2008 – giovane Rossella Marino Abate, compagna di vita e di lavoro di Mattia. Bella storia tra le montagne di Faedo, in Trentino. Con in testa i vini della tenuta San Leonardo, Mattia si dedica al suo ettaro di Cabernet Sauvignon nella zona vocata di Casteller con pendenze del 100 per 100. Under The Sky e Equinotium vengono da lì. Più facile e comprensibile il primo, più complesso e adulto il secondo. Entrambi buonissimi, eleganti e poco erbacei.

Tenuta dei Fiori (Valter Bosticardo)
In quanti conoscono il “Gamba di Pernice”? Faccio ammenda, mai sentito o assaggiato prima dell’altra mattina. Da poco è rientrato nella Doc Calosso (altra sconosciuta!), ma il vino vale l’assaggio. Un rosso della Langa astigiana e autoctono che era in via di estinzione. Ha riflessi rubino con profili aranciati, acidità contenuta, note floreali (viola) e fruttate al naso, sentore di pepe verde al palato. Schietto, senza eccessive pretese.

Garlider (Christian Kerschbaumer)
L’assaggio più buono in fiera. In primis il sylvaner, un vino di montagna che ha dentro tutto quello che possono far venire in mente le Dolomiti: abeti, profumo di fresco, limpidezza, pino mugo, balsamicità e più sali – o più bevi – più diventa cristallino. Gran bella beva anche il Gruner Veltliner, acidità e morbidezza, crosta di pane, croissant sul finale. Una crocetta in più in Valle Isarco come promemoria per prossima visita.

Le Chiusure ( Camillo Favaro)
Come si scrive di un amico? Camillo è un mio amico. So più cose di lui che dei suoi vini. Però il suo 13 Mesi merita una menzione che esula dall’affetto. Perché sarebbe un bel Erbaluce di Caluso comunque. Un vino bianco in Piemonte, verticale, dall’importante spalla acida con finale di mandorla e nocciola appena verdi. Con una sua grassezza non pesante, che sarebbe meglio chiamare ricchezza. Legno ben dosato. Finale sapido. Nasce in un posto bello, come Piverone e in una zona che ha la seconda collina morenica più lunga del mondo, la Serra. La prima è in Cile.

Marta Valpiani (Elisa Mazzavillani)
Azienda romagnola che fa sangiovese, ovvero che lavora con il Sangiovese di Romagna, che è tutta un’altra storia. Elisa è una “ragazzaccia del vino” (chi segue i social sa che è un gruppo ufficioso), è molto 3.0 e si occupa della cantina di un’azienda tutta al femminile. Tra le etichette scelgo il Castrum Castrocari, il base del suo sangiovese: fresco, netto nel suo odore di visciole e viole, croccante, pieno al naso e in bocca, ma senza essere imponente, ha anche un carattere “animale” che ci sta benissimo nel vino di una ragazzaccia.

De Fermo (Stefano Papetti Ceroni)
Dici Loreto Aprutino e pensi a Valentini e a quanto è accaduto in Abruzzo giorni fa. A quanto ti piange il cuore a sapere di quei bellissimi vigneti a pergola abbattuti dal vento e dalla grandine. Anche con Stefano ne abbiamo parlato, consapevoli del carattere tenace degli abruzzesi. Che è poi il carattere che trovi nei loro vini. Come nel suo Cerasuolo d’Abruzzo Le Cince, un rosato importante, che non ha nulla dei vini facili. Uve di Montepulciano d’Abruzzo torchiate e messe a fermentare in botti grandi, niente salasso e leggerissima ossidazione. Note fumé, sapido, succoso, intenso. Esente da banalità, cosa che non accade spesso nei rosati

Annamaria Abbona (Franco Schellino e Annamaria Abbona)
Sono di parte e lo rivendico. Il Dogliani è uno dei miei vini preferiti. E’ la via simpatica al Nebbiolo, più immediato, forse più rustico, festaiolo, con quel suo nome vezzeggiante, dolcetto, mette simpatia subito. Guai a credere però che sia un vino beverino; invecchia benissimo se fatto con sapienza. Ha un frutto pieno che scrocchia e un finale ammandorlato netto, come il Sori Dij But. Gran polpa e colore violaceo. Da comprare, ma soprattutto da bere lì, in quella parte di Langa dove non tutto è vigneto. E dove il Dolcetto viene bene solo lì, perché non è un’uva cosmopolita.

Le Fraghe (Matilde Poggi)
La presidentessa della Fivi è un’ottima vignaiola di Cavaion Veronese, zona Bardolino, uno dei vini del momento. Donna pratica, Matilde che porta avanti il neo-incarico con determinazione, nonostante le troppe anticamere della politica. Anche i suoi vini si fa fatica a raccontarli. Io scelgo il Bardolino che lei definisce un “vino goloso”, come dire, la bottiglia va finita non discussa. Forse sono così anche loro, vini pragmatici, come anche la Garganega (buonissima), non c’è nulla di concettuale, vanno giù che una meraviglia e sono saporiti.

Vignai da Duline (Lorenzo Mocchiutti)
Tutto sa un po’ di fiaba. Il nome dell’azienda, il gelso sulle etichette – simbolo di casa – il territorio friulano a forma di anfiteatro di Ronco Pitotti, il Refosco dal Peduncolo Rosso, l’uva del Morus Nigra, vino dalla tessitura perfetta, come velluto, per eleganza e setosità dei tannini. Ha il sapore di qualcosa di dimenticato, non saprei dire cosa, ma che ha che fare con un passato dalla memoria rarefatta. Come il balsamico che sa quasi di canfora. Bella sapidità e finale persistente. Un vino raffinato

‘A Vita (Francesco Maria De Franco)
Un assaggio che è una riconferma, il Cirò di Francesco e Laura, calabresi di ritorno. Abitano e vivono lì la loro seconda vita. Lei operatrice d’arte, Francesco, architetto a san Marino che a 40 anni torna all’università per studiare enologia a Conegliano. C’erano le vigne di famiglia in Calabria di cui occuparsi e lui voleva fare sul serio. Prima annata, il 2008: Gaglioppo in acciaio per far venire fuori il vitigno, da tanti ritenuto scontroso e “volgare”. E invece Francesco ne smussa le asperità e ne tira fuori il lato complesso e ammaliante, da vino rosso di mare, salino, salmastro, ma anche di amarena e prugna. Carattere da vendere.