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La degustazione

I vignaioli della Fivi al Vinitaly: cronaca di una degustazione

08 Aprile 2014
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Vignaiolo è uno status abusato e c'è chi ne vuole adesso rivendicare la tutela giuridica.

'Un'identità forte e la parola va definita, protetta! In questi giorni ricevo tantissime foto che denunciano la speculazione da parte di chi certamente vignaiolo non è”, tuona Matilde Poggi, a capo della Fivi , ieri tra i protagonisti della degustazione organizzata da Cronache di Gusto al Vinitaly. Incontro che ha riunito 13 vignaioli della Federazione ciascuno dei quali si e' presentato al pubblico di wine lover e alla stampa con etichetta e annata scelti da loro stessi per raccontare il proprio modo di fare vino. Da Nord a Sud della Penisola una fotografia di territori preservati, di tradizioni mantenute, di storie.

Il wine tasting è partito da quello piu' martoriato dai media, accusa chi vi produce e vive, dalla oramai indicata come Terra dei Fuochi, da Aversa. Qui, dove la viticoltura ha radici angioine, Massimo Calvanico di Masseria Campito fa Asprinio di Aversa in un terreno che appartiene alla loro famiglia da tre generazioni. Il produttore ha presentato l'Asprinio 2012. Davanti al pubblico Calvanico lamenta la cattiva pubblicità che ha colpito questa porzione di Campania. “Come possiamo differenziarci dagli altri? – dice -. Mettendoci la faccia prima di tutto. Il territorio non è tutto rovinato, Ce ne sono tanti in Italia in queste condizioni se non peggiori. per noi fare vino è importante. Non bisogna abbandonare il territorio. Bisogna lottare. Il 99% delle persone fatica quotidianamente, qui hanno messo l'anima nel terreno, non è giusto masacrarle in questo modo”. Il suo atto di resistenza, il produttore lo colma poi di nuovi obiettivi, quale uno che in realtà è un suo sogno ambizioso: quello di fare grandi spumanti che possano superare gli Champagne.

Kristgian Keber ha presentato il Keber Doc Collio 2010: 70% Tocai Friulano, 15 Ribolla Gialla e 15 Malvasia. Esemplare dell'estremo est del territorio che vanta solo 1200 ettari vitati, al confine con la Slovenia. Keber è una piccola realtà, come tutte in questo areale. Dodici ettari terrazzati. Il giovane Kristian sta seguendo la strada tracciata dal padre Edi. Rappresentante di un nuovo modo di pensare, figlio dei tempi, solleva il tema del fare sistema. “Siamo solo 200 piccoli produttori nel nostro territorio. Corriamo dietro al mercato però senza un pensiero coerente, univoco. E di questo ne paghiamo le conseguenze. I nostri vini sono buonissimi però alla fine nessuno ci identifica, ci conosce, soprattutto all'estero”. 

Peter Di Poli, tra le icone del mondo del vino altoatesino, ha proposto quella che per lui è la versione reale del Sauvignon Blanc con il Voglar 2008. Vino di alta collina, nasce nella zona a sud di Bolzano. Lui è un fervido sostenitore di questo verietale tanto da definire il Sauvignon  che circola “Volgare. Perché non maturo. Per il vino ci vuole l'uva matura. Il Sauvignon è un vino continentale e può esprimersi solo in determinate zone. E' andato di moda quello non autentico”. Sempre tranchant, Di Poli bacchetta i vignaioli italiani. “Dobbiamo prendere esempio dai colleghi francesi, che hanno sicurezza di sé stessi e grande umiltà. Non si sono montati la testa, hanno alla fine i nostri stessi problemi. E quando loro fanno grandi vini sono davvero irragiungibili. Dobbiamo ammetterlo sono più bravi. Perché ostinarci a coltivare per esempio Pinot Noir. Alla fine è come accettare l'olio extravergine di oliva fatto in Borgogna”. 

A seguire a prendere la parola è stato Constantino Charrere di Les Cretes, uno dei fondatori insieme a Di Poli e Pieropan di Fivi Italia. Volto della Valle d'Aosta. Ha fatto assaggiare uno Chardonnay Cuvée Bois del 2006, annata recuperata nella sua cantina. Uno dei protagonisti dell'ultimo libro di Farinetti, come esempio di coraggio. Non ha abbandonato le sue vigne, durante l'esodo verso valle. La Valle d'Aosta in passato vantava 3mila ettari vitati oggi ne sono rimasti 659. E gli si deve riconoscere che grazie a lui si è salvata la viticoltura di montagna in questa regione. Battagliero, severo e convincente Charrere. “Bevete i nostri vini con moderazione  ben sapendo che se spendete qualche euro in più finanziate un prodotto che ha alle spalle 1200 ore per ettaro di lavoro fatto realmente dall'uomo. Pensate che in Australia un vino è ottenuto da 40 ore di lavoro”. I consumatori per Charrere sono co-produttori. “Stateci vicino – esorta il pubblico -. Abbiamo bisogno di voi perché i vini artigianali e di territorio possano continuare a resistere”.  Il 2006 è frutto di un'annata fresca. Per la vinificazione vengono usati tonneaux francesi di 300 litri dove il vino fa prima e seconda fermentazione. E rimane undici mesi sulle fecce madri con tecnica di battonage. Un connubio tra tannini nobili, frutta candita, note di fiori appasssiti. Di grande longevità. 

Altro grande personaggio, che ha voluto prendersi cura delle sorti del Verdicchio è Ampelio Bucci. Incarna la figura del vignaiolo. Il produttore di Ostra Vetere ha messo le mani nella terra come coltivatore all'età di 13 anni. Ha fatto degustare il Villa Bucci Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc 2005. Per lui ” il vino con cui gli italiani possono gareggiare con i francesi”, dice provocatoriamente. “Il Verdicchio è sempre stato riconosciuto come il peggiore dei vini italiani. Colpa anche di un disciplinare che ammette 140 quintali per ettaro – dice il produttore – quando invece non esiste uno che vada sotto i 100. Invece è un grandissimo vitigno. E ho scelto volutamente di coltivarlo per infrangere questa immpagine negativa che gli è stata attribuita. Io l'ho piantato 40 anni fa”. Bucci lo ha però relegato nella retroetichetta, spiegando il perché: “E' sempre una provocazione, per suggerire che il vino senza ricordi va avanti!”. Al naso si apre con note di ginestra, miele e minerali. Sapido e avvolgente. Bucci chiude la degustazione con una massima “Ricordiamo che attraverso il vino miglioriamo noi stessi”. 

Marco Brezza ha portato a Verona il terroir di Cannubi, uno dei grandi cru di Barolo, con la Barbera d'Alba Superiore 2011. E' la nuova generazione di un'azienda nata nel 1885 e ha testimoniato la tenacia del viticoltore delle Langhe. La realtà conta 18 ettari in tutto con vigne che superano i 70 anni. Il vino è il risultato di un'annata da ricordare come grande per tutti i rossi del Piemonte, Questa Barbera ha al finale una spinta calda, una buona acidità e grande frutta. 

Con Nico Montecchi di Villa del Cigliano, protagonista al wine tasting è stato il territorio del Chianti Classico settentrionale con la Docg Chianti Classico Riserva 2006. Secono il produttore, che fa vino nel salotto dell'enologia nazionale, c'è un rischio oggi forte di perdita di identità. “L'unico modo per non perderla è lavorare sulla zonazione – ha detto  esprimendo anche un malcontento condiviso da tanti colleghi della zona -. In questo momento storico stiamo vivendo un delirio di incomunicabilità. Il Chianti Classico è un esempio di follia italiana. Si sono complicate così tanto le cose tanto che il consumatore fa fatica a capire. E questa la stiamo pagando cara”. 

Nel parterre della Fivi c'è anche chi ha rappresentato l'altro grande areale enologico della Toscana, Montalcino. Simonetta Valiani di Le Chiuse è stata l'aambasciatrice di un pezzo di storia legata al nome di Franco Buondi Santi. In degustazione il  Brunello di Montalcino le Chiuse 2006. “Una delle annate migliori annate, ci ha dato tanta soddisfazione”, ha detto la produttrice che ha poi elogiato il lavoro fatto dal Consorzio e il sistema che Montalcino è riuscito a creare. “Siamo una bella realtà. Abbiamo combattuto tutti insieme per avere un disciplinare che valorizza Montalcino”. 

Marco Sartori di Roccolo Grassi con la Doc Valpolicella Superiore 2006 ha rappresentato un territorio di 7400 ettari e una denominazione “ancora poco conosciuta”, dice il produttore. “Alcuni produttori non hanno grandi interessi sulla Valpolicella. Il problema è che il mercato ha dificoltà a riconoscere certi valori se si propongono a certi prezzi. C'è un modo di risollevare questa storica produzione. Bisogna fare poche bottiglie, fare vini di alto livellio, bisogna insistere, accontentare un target che può spendere una certa cifra. Non bisogna scendere a compromessi. Si può vivere facendo i vignaioli. Ma devono darci una mano i consumatori”.  

A fare parlare la Sardegna, e la zona tra le storiche del Cannonau, è stato Alessandro Dettori con il Tenute Dettori Rosso 2006. Il giovane produttore, tra le figure più amate dai wine lover, è intervenuto in difesa del concetto di terroir che supera quello francese. “E' il matrimonio, l'unione tra un popolo e un luogo. E il territorio è fatto da popoli che lo hanno plasmato per fare vino. Per questo è fondamentale il legame con il passato”. Dettori richiama al rispetto della vocazione di un territorio. “Oggi in Sardegna quello che circola all'89% non è il vero Cannonau. Ma cloni che non hanno più le caratteristiche della varietà originale, che da noi ancora viene con cura preservata. Così tutti bevono un vino che credono fatto dal Cannonau, che da 18 di gradazione è passato a 12, 5 di alcol, più carichi di colore, lontanissimo da quello che sempre abbiamo bevuto e che ha fatto parte della nostra storia”. 

A raccontarci l'Abruzzo di Emidio Pepe è stata la figlia Sofia che segue la produzione. Dal 1964 ad oggi, anno in cui festeggia le sue nozze d'oro, Emidio ha contrastato ogni evoluzione rimanendo fedelissimo al modo di produrre tradizionale di una volta e più vicino al territorio. Diraspatura a mano, fermentazione naturale in cemento e lunghissimo invecchiamento in bottiglia. “Quando mio padre accatastava le bottiglie gli dicevano sempre, sei matto! – ha raccontato Sofia -. Ma questa era un'altra forma di rispetto, dare al vino il suo tempo, non quello del mercato”. In degustazione il Montepulciano d'Abruzzo 2001. Un buon equilibrio tra acidità e tannino. Intenso. 

Polvanera ha rappresentato il sud in questa degustazione: la Puglia. Con il Primitivo Gioia del Colle 2009. Frutto di alberelli in contrada Marchesana. Note di frutta matura e di erbe aromatiche. Possente, buona estrazione, generoso. E facendo un repentino salto a nord, ultimo a parlare è stato Paolo Soracco con il suo Doc Moscato d'Asti d'Autunno 2013. Un'anteprima assoluta del salone riservata esclusivamente all'incontro. Imbottigliato da venti giorni. Con questa annata il produttore propone una nuova versione, dove è stato privilegiato l'aspetto fruttato. Un vino fresco, verde e sostenibile. Dolcezza ben equilibrata. Inedita perla della denominazione che abbraccia 19 mila ettari e 59 comuni.