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Birra della settimana

Racconti di birre e di pizze: la ripiena con patate e spinaci e le “sue” pinte

20 Aprile 2025
La pizza ripiena con patate e salsiccia La pizza ripiena con patate e salsiccia

Pizza ripiena, una golosità che fa gioire il palato già solo a pronunciarne il nome. Una tradizione gastronomica che non si concretizza semplicemente in una preparazione puntualmente definita nella lavorazione e negli ingredienti. Perché talmente tante sono le varianti locali, relativamente alla farcitura, che risulta più opportuno parlare di una ricetta-base: di una matrice a partire dalla quale si generano decine di elaborazioni diverse. Storicamente si tratta infatti di un piccolo calzone impastato con acqua, farina, sale, lievito e olio (o strutto), per poi essere guarnito internamente appunto secondo l’estro o le disponibilità alimentari delle diverse aree di radicamento.

TERRITORI E CONSUETUDINI
Tipica in specie del periodo pasquale (compresi i giorni precedenti la festa della Resurrezione), la pizza ripiena vede la propria diffusione abbracciare un ampio quadrante geografico in cui rientrano diversi comprensori: la Ciociaria e un po’ tutto il Lazio meridionale (dov’è conosciuta, ad esempio, come canascione); l’intera Campania (qui, tra i suoi nomi, c’è quello di pizza chiena); e la Lucania nel suo insieme (con battesimi pittoreschi quali scarcedda, cazzola, cuzzola o pasticcio). Parallelamente agli appellativi, cambiano, si diceva, gli elementi dell’imbottitura: uova (sbattute o sode), salumi e insaccati (prosciutto, salame, soppressa), formaggi (pecorino, provolone) e latticini in genere (ricotta). Logico che, con tali premesse storiche, il tempo abbia giocato a favore di una moltiplicazione delle interpretazioni: legate non solo ai costumi locali, ma a quelli addirittura familiari, se non alla stessa fantasia del singolo cuciniere.

UNA VERSIONE ORTOLANA
Quella che proponiamo nella circostanza è una versione ruotante attorno a un’idea di complessiva leggerezza; facendo a meno, in tal senso, di salumi e latticini: insomma delle voci più sensibili in tema di conteggio delle componenti grasse. Per l’esattezza, questa esecuzione, all’ortolana diciamo, prevede un ripieno a base di spinaci saltati in padella e patate precedentemente bollite; il tutto a farcire un involucro esterno impastato con farina, acqua, sale (un pizzico), lievito ed extravergine (senza strutto, quindi). Approntata la valigetta con il suo contenuto, non resta se non cuocere in forno: meno di mezz’ora sui 190-200 °C e la pizza ripiena sarà pronta per il servizio in tavola.

RADIOGRAFIA DEL BOCCONE
Sotto il dente, ecco una consistenza morbida; una materia lipidica limitata al solo olio d’oliva; una trama carboidratica invece importante, tra patata e farina; un gusto fondamentalmente dolce, sostanzialmente privo di punte sapide o acide, e interessato invece da una possibile venatura amaricante di timbro vegetale, apportata dagli spinaci; un profumo articolato tra leggere tostature (dovute ai processi di cottura a carico della pasta), delicate erbaceità (quelle conferite dall’ortaggio utilizzato in guarnitura) e altrettanto sottili impressioni amidacee (legate al soffice e dolce tubero che è coprotagonista della ricetta). Ecco, a questo punto, come ideale ciliegina sulla torta (salata), per la nostra pizza ripiena andrà apparecchiato un buon abbinamento. Volendo puntare su una birra, come orientarsi? Di seguito, suggeriamo tre possibilità, ciascuna con un prodotto di diversa matrice stilistica…

CON LA KÖLSCH
Delicatezza per delicatezza, si dia inizio alle danze con una tra le tipologie che, in fatto di bon ton organolettico, hanno poche rivali. Parliamo delle Kölsch: le chiare a fermentazione ibrida tipiche della città di Colonia (nel Nordreno-Westfalia); le quali, essendo tutelate da un marchio di IGP, se prodotte al di fuori del loro comprensorio d’origine, non possono essere commercializzate con la loro designazione storica. E allora, in tutto il resto del mondo si utilizzano locuzioni alternative: da quella di Rheinland Helles a quella, ormai la più gettonata, di German Ale. È il caso della Grün targata Diciottozerouno (a Oleggio Castello, in provincia di Novara). Colore paglierino carico, aspetto pulito e fine schiuma bianca, i suoi 5 gradi e la sua bollicina (unite ovviamente alla fisiologica acidità della birra) bastano e avanzano a gestire il contenuto grasso e amidaceo del boccone. Il quale boccone, privo di uzzoli acidi o sapidi, lascia la sua vena amaricante andare a distendersi, in bella sovrapposizione attenuativa, sull’analoga corrente che attraversa la sorsata. Quanto alle interazioni olfattive, il panificato della pizza viene agganciato, ripreso e prolungato (in una sequenza assai gradevole) dal tema, sostanzialmente identico (una crosta appena imbiondita), che è tra i connotati olfattivi di maggior rilievo nella bevuta.

CON LA ENKEL
Scendiamo di gradazione alcolica, ma impercettibilmente: siamo sul 4.8%; per crescere invece, e in misura considerevole, sul piano della densità sensoriale complessiva. Sul quadrato sale infatti la Westmalle Extra: ovvero la Enkel (o Belgian Single o Patersbier) appartenente appunto alla scuderia Westmalle, prestigioso marchio trappista facente capo all’abbazia Nostra Signora del Sacro Cuore, comunità cistercense belga ubicata a Malle, nella provincia di Anversa. Colore dorato, velatura sottile e rigogliosa schiuma bianca, la birra ingaggia, con la pizza, un corpo a corpo dalle modalità simili a quelle registrate in relazione al primo abbinamento: disinvolto lo smaltimento delle pastosità amidaceo-lipidiche del boccone (qui anzi diluite con maggior agilità, da parte di una bollicina più ficcante); armonica, tra morso e sorsata, la sovrapposizione delle speculari correnti di timbro amaro (benché, in questa bevuta, più intense rispetto a quella precedente). Infine, sul piano olfattivo, torna l’assonanza tra le panificazioni in dote sia al piatto sia al bicchiere: con quest’ultimo che aggiunge contenuti speziato-floreali (un petalo di sambuco in cui affiorano impressioni di peperone verde) tali da arricchire, senza snaturarla, la cornice di questa piacevole simmetria aromatica.

CON LA ENGLISH IPA
Un salto ideale in Germania, uno in Belgio e ora (a chiudere il valzer delle tipologie in pista) uno anche nel Regno Unito. La terza birra testata in abbinamento è una India Pale Ale di quelle originali, oggi definite english (per differenziarle dalle edizioni moderne, quali le varie American, Pacific e così via): per l’esattezza proponiamo quella, recante in anagrafe il nome di No Borders IPA, firmata a Borgomanero (Novara) dal marchio 100Venti. Colore ramato, aspetto pulito e fine coroncina di schiuma avorio, questa ambrata così profondamente british-style, sfodera (coi suoi 5.5 gradi alcolici che vanno a compensare la parziale perdita di bollicina) una capacità di smaltimento della materia grassa e amidacea sostanzialmente simile a quella delle bevute precedenti. E rilascia una vena d’amaro (grossomodo a metà tra la German Ale e la Enkel) che in ogni caso trova, da parte del boccone, la medesima buona accoglienza. Sul piano olfattivo, infine, un piccolo sfalsamento nel rapporto tra le panificazioni in dote al piatto e al bicchiere; non più mollica con mollica in preciso allineamento, ma una crosta appena imbiondita (quella della pizza) e una più cotta (quella della pinta): una scalatura, insomma, tra temi comunque affini, che garantisce coerenza aromatica alla sequenza morso-sorso.

WESTMALLE BROUWERIJ
Antwerpsesteenweg, 496 – Malle (Provincia di Anversa, Belgio)
T. 0032 (0)3 312 92 22
info@trappistwestmalle.be
www.trappistwestmalle.be

BIRRIFICIO 100VENTI
Via Donizetti, 50/B – Borgomanero (Novara)
T. 0322 1979877; 347 1925502
info@birracentoventi.it
www.birracentoventi.it

BIRRIFICIO DICIOTTOZEROUNO
Via Stefano Niccolini, 7/A – Oleggio Castello (Novara)
T. 339 2399244
info@diciottozerouno.it
www.diciottozerouno.it