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Birra della settimana

Storie di birra e formaggio: il viaggio dal Friuli del formadi frant da abbinare a una bevuta… esplosiva

18 Febbraio 2024
Formadi Frant Formadi Frant

Tra i simboli della tradizione casearia di tutto il Friuli (regione che lo include nell’elenco dei propri dei Pat, i Prodotti Agroalimentari Tradizionali), il “formadi frant” lega la propria origine in particolare alla provincia di Udine: ed entro i suoi estesi confini, trova la propria culla per l’esattezza nel quadrante nord-occidentale di quel territorio, la porzione corrispondente cioè al comprensorio della Carnia, con le sue valli alpine e con la cittadina di Tolmezzo come centro principale e ideale “capoluogo”. Ma cos’è il prodotto di cui stiamo parlando, un formaggio? Beh, sì; o quantomeno all’incirca: a dirlo, d’altra parte, è il suo stesso nome in dialetto, la cui prima parte, “formadi”, è di traduzione intuitiva e inequivoca; tuttavia, a veder bene, la sua preparazione è tale da renderlo qualcosa di un poco più complesso.

LA LAVORAZIONE
A indicare la direzione verso la quale sia da ricercare la complessità cui si è appena fatto cenno è di nuovo il “battesimo” di questa ghiottoneria davvero singolare; che si definisce, appunto, “frant”: ovvero frantumata, sbriciolata, spezzettata. Il processo di lavorazione parte proprio da qui; dalla riduzione, in schegge e scaglie, di formaggi già in commercio (diversi per tipologia e stagionatura): in passato quelli riusciti magari “così così”; evenienza sempre possibile, parlando di preparazioni artigianali (l’ambiente in cui ci troviamo è quello delle produzioni locali denominate di “latteria”). Ecco, per evitare di lasciar ammuffire queste pezzature (peccato mortale, soprattutto in passato, in tempi di economia ben più povera), si è consolidata la tradizione di recuperarle, avviandole a una seconda vita. Come? Ecco qua. Dopo averne fatto granella di cacio, si aggiungono latte, panna fresca e pepe: quest’ultimo provvidenziale nel tenere alla larga le possibili contaminazioni batteriche (e magari anche la famelica voracità di qualche topolino). Approntato un denso impasto, lo si mescola (scaldandolo al contempo, onde favorirne l’amalgama); lo si porta a uniformità; lo si depone in fascere; lo si sottopone a vigorosa pressatura; lo si fa riposare minimo 40 giorni in apposite sale di stagionatura (a temperatura controllata di 10-12 gradi, con umidità relativa attorno al 70%); e quindi lo si immette nel circuito commerciale.

UN BOCCONE SORPRENDENTE
Spiazzamento: questa la sensazione che si prova, non di rado, al proprio “debutto” nell’assaggiare il formadi frant. In primo luogo, perché la consistenza, ovviamente variabile in funzione dei tempi di stagionatura, se questi non sono stati così prolungati può rivelarsi morbida e granulare insieme. In seconda battuta, perché – al di là dei diversi gradi di compattezza e omogeneità della pasta (comunque tendenzialmente friabile) – il profilo olfattivo rivela la compresenza di suggestioni variegate: mature note tostate (anacardo, nocciola, crosta di pane, cracker); più fresche tematiche di timbro latteo ma anche lattico (con impressioni fungine di “cantina”); la pungente aromaticità speziata del pepe. Infine, perché l’impalcatura gustativa, sostenuta dalla mole di una notevole componente grassa (siamo attorno al 40%), si avvale dell’affabilità distraente di un solido fondo di dolcezza per poi colpire i recettori con ficcanti incursioni di matrice sapida e piccante. Insomma, un bel caratterino; un temperamento esplosivo: tale da richiedere, in abbinamento, tipologie birrarie altrettanto detonanti. Ne abbiamo provate tre…

CON LA HONEY ALE
La partenza è già “in impennata” (e ti credo), quanto a gradi alcolici: i 7.3 della “Montemagno” targata “Orzo Bruno” (a Bientina, provincia di Pisa), marchio apripista, nel 2003, del movimento artigianale in Toscana, insieme al coetaneo “Mostodolce” (a Vaiano, nel Pratese). Si tratta di una Strong Ale al miele: di tipologia variabile, ma aggiunto sempre prima della fermentazione. Tra le referenze storiche “della casa”, esibisce un colore ramato e uno slancio etilico che, tutto sommato, ben se la cava nel compito, non scontato, di gestire la materia grassa del boccone. Detto questo, la sorsata presenta anche quei requisiti di morbidezza (a tratti una vera e propria abboccatura) che il formadi rende necessari per veder mitigate le proprie irruenze sapido-piccanti. Infine, il reticolo dei richiami aromatici: un “naso” caseario nel piatto, un profumo di miele e albicocche disidratate nel bicchiere; bell’esempio di divergenza armonica assai apprezzata dal consumatore.

CON LA EISBOCK
Lungo la traccia della muscolarità etilica, si sale a quota 9.2 con la “Eisbock” (senza nome d’arte, ma la sola indicazione stilistica) della scuderia tedesca “Kulmbacher”, in Alta Franconia (Baviera). In sostanza, una Doppelbock concentrata a freddo: bruna nel colore, migliora sensibilmente (appunto grazie alla più spessa corazza etilica) le funzioni di gestione del filamento lipidico contenuto nel boccone. Al palato, poi, cresce anche il livello zuccherino percepito: e dunque muove un ulteriore passo avanti anche nel rapporto con l’affondo sapido-piccante in cui si lancia il formadi. Infine, le interrelazioni olfattive: con di nuovo, nella sorsata, un intreccio di miele e frutta disidratata (qui fiche e uvetta) che, in combinazione con l’odorosità casearia del frant, riproduce gli effetti prodotti da consolidate modalità di accompagnamento (confetture e via dicendo) applicate su numerosi formaggi.

CON LA QUADRUPEL
Ultimo giro e ulteriore avvitamento verso maggiori gradazioni: si atterra al livello del 10.2% con l “Twaalf”, una Quadrupel di stampo belga firmata, a Milano, dal marchio artigianale “PicoBrew”. Scura e austera, con la sua vampa etilica scioglie agilmente le pur arroccate resistenze della massa grassa opposta dal boccone; e con la sua sorsata levigata e rotonda, mai indulgente a tentazioni amaricanti, accarezza e ammansisce le sfuriate sapido-piccanti del formadi. Quanto al rapporto tra le direttrici olfattive, quelle del bicchiere cambiano nelle specifiche, ma non nei contenuti generali: caramello scuro, frutta disidratata (prugna) e secca (noce, mandorla), miele di castagno; insomma, una serie di connotati sensoriali che, come si è visto, dialogano assai positivamente con le odorosità del piatto.

BIRRIFICIO ORZO BRUNO
Via Puccini, snc – Bientina, Pisa
T. 392 3060433
birrificioorzobruno@gmail.com
www.orzobruno.it

BIRRIFICIO PICOBREW
Alzaia Naviglio Grande, 22 – Milano
T. 338 4139011
info.picobrew@gmail.com
www.picobrew.it

KULMBACHER BRAUEREI
Lichtenfelser Strasse, 9 – Kulmbach, Baviera, Germania
T. 0049 (0) 9221-7050
www.kulmbacher.de