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La curiosità

ANTEPRIMA. Un pastificio all’Ucciardone. Penne e rigatoni prodotte dai detenuti

17 Gennaio 2018
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La pasta prodotta col nome del carcere palermitano dove è stato allestito un piccolo stabilimento. Il know how è dell'imprenditore Mimmo Giglio che provvederà anche alla commercializzazione


(Mimmo e Giuseppe Giglio)

C'è un primato storico da rivendicare. La voglia di riscatto sociale di chi è finito in carcere. La visione di un imprenditore sempre pronto a nuove sfide. Il volto benevolo di uno Stato disposto ad offrire un'opportunità di rieducazione. E l'egida di Slow Food a riconoscere il valore umano e culturale dell'iniziativa che punta ad una filiera cortissima. 

Se non è la quadratura del cerchio, poco ci manca. Tutto questo accade a Palermo dove è nato un pastificio all'interno del carcere borbonico dell'Ucciardone. Luogo di detenzione per mafiosi e delinquenti, simbolo di misfatti e tanto altro, ora potrà diventare anche qualcosa di diverso. La tristemente nota quinta sezione è stata ristrutturata da poco ed adesso ospita un pastificio nuovo di zecca finanziato dal governo nel quadro delle iniziative volte a fornire occasioni di lavoro per chi si trova tra le sbarre. Ed a fare la pasta infatti saranno alcuni detenuti, all'Ucciardone per scontare lunghe pene definitive. I pacchi di pasta, manco a dirlo, avranno il marchio Ucciardone. Usciranno dal carcere rigatoni, penne, mezze penne, casarecce ed altri formati corti per il momento. Poi si provvederà a realizzare anche i formati più lunghi come gli spaghetti. Parla con orgoglio del progetto Mimmo Giglio, l'imprenditore che col figlio Giuseppe ha sposato l'idea, fornendo il know how, formando i detenuti e impegnandosi a commercializzare la pasta Ucciardone in Italia e all'estero.


“È un brand forte, lo conosce mezzo mondo”, dice a mo' di battuta Giglio. Che ha, è il caso di dire, le mani nella farina da trent'anni a questa parte con un laboratorio di pasta fresca nel cuore della Palermo più antica. Uno di quegli indirizzi solidi, puro riferimento per grandi appassionati di tagliatelle e ravioli. Dice ancora Giglio: “Abbiamo formato una decina di detenuti, quattro saranno subito al lavoro, alcuni di loro sono in carcere per reati anche gravi come omicidio. L'impianto è nuovo e moderno e potrà produrre 400 chili di pasta all'ora. Per il momento si faranno formati corti, poi anche gli altri. Per noi è anche un motivo di orgoglio: condurre una missione dal forte valore sociale  in una città come Palermo che è la culla della pasta di grano duro. Tutto è nato qui, come è documentato dagli storici, e quindi è il momento di farlo sapere al mondo con un marchio come quello dell'Ucciardone che fino ad oggi ha evocato ben altro”.

E poi c'è la filiera corta: perché la farina utilizzata per fare la pasta sarà solo quella del tipo Perciasacchi, per il momento, quindi un grano tipicamente siciliano, coltivato in un campo sperimentale di alcune decine di ettari. Ma ci sarà spazio per altri grani siciliani non appena il progetto prenderà forma. Tutto questo ha fatto andare in solluchero quelli di Slow Food che sarebbero disposti a battezzare l'iniziativa. Giglio ha anche già le idee chiare per la vendita. Ha trovato alcuni acquirenti e spiega che la pasta sarà molto buona. E sottolinea anche la bravura della direttrice del carcere Rita Barbera che ha seguito tutto l'iter del progetto con tutto il suo staff. Il logo per la pasta è quasi pronto e raffigura una sorta di sole con alcuni raggi. Che è poi l'Ucciardone visto dall'alto. Dalle pene (da scontare) alle penne (da mangiare).

C.d.G.