IL REPORTAGE
Illudersi del mare… È curioso che una città come Palermo, bagnata dall’acqua più di molte altre città italiane, abbia un rapporto così intermittente col suo litorale. Eppure questa è la realtà. Per decenni sono stati pochissimi i locali, i ristoranti, i ritrovi affacciati sul – più o meno – splendido mare panormita. Abbiamo chiesto a un po’ di quarantenni e cinquantenni dove portassero la fidanzata a bere un bicchiere di vino e, sotto la luna, a dividere un piatto di spaghetti con le vongole.
Il più delle volte alla domanda è seguito un gesto vago, una grattata di fronte, o un roteare degli occhi in cerca di ricordi lontani. Ninni – una sessantina di fidanzate e due mogli all’attivo – rispose che sì, avrebbe voluto un ristorantino romantico dove incantare le sue conquiste, ma alla fine le portava in un ristorante “non ricordo bene dove… guarda… a Vergine Maria, lì al curvone”, mi diceva, “per illuderci del mare”. Con vento contrario era una tortura: tanto valeva infilarsi nel bagno subito dopo lo zio Luigi, un vero gourmet, che almeno aveva il buon gusto di bagnarsi le guance con l’acqua di colonia per confondere gli odori.
Lo zio Luigi invece raccontò che nel 1968 conquistò la zia Annalisa portandola, in barca, dal Circolo Canottieri alla Cala, al ristorante Da Renato l’Approdo. Una traversata romanticissima in una lancia da pescatori, con secchiello, ghiaccio e champagne. La zia però spiegò che non fu lo champagne a convincerla, né la cena – pur squisita – ma il momento dell’attracco: un’onda investì la barca, bagnando i pantaloni dello zio e lasciandolo per venti minuti letteralmente in mutande. Venti minuti era il tempo tecnico per Umberto, l’amico “delle emergenze”, per attraversare la città a folle velocità con un paio di pantaloni di ricambio. Ma fu troppo tardi: la zia fece prima.
Per il loro 29º anniversario di matrimonio ho ricevuto una telefonata da zia Annalisa. Come Ninni, anche lei avrebbe voluto illudersi del mare, e magari di qualcos’altro. Ma Renato l’Approdo è ormai un ricordo, rimpianto da mezza Palermo degli anni Settanta-Ottanta e perfino dalla cupola corleonese. Non sapeva più dove andare. Le ho spiegato che, per fortuna, oggi Palermo schiera nuovi locali che sembrano riconciliare la città con il mare: luoghi letteralmente presi d’assalto da un pubblico giovane e maturo, forse per fame di bellezza accumulata in decenni di assenza di posti curati.
Il Baia – Lounge Bar & Restaurant (Via Plauto 27/a, Baia del Corallo/Sferracavallo, Tel. 330.851289 – 393.3306697, www.baia.biz) è uno dei locali più belli visti qui in vent’anni. Nessun cartello all’ingresso: si trova accanto all’ostello della gioventù AIG. Dopo cento metri di passerella in legno si arriva a un’area tra verde e acqua, arredata con gusto, anche se firmata Ikea. Il servizio al Lounge è debole: la sensazione di abbandono arriva dopo venti minuti e tre giri di camerieri dallo sguardo assente. Migliora però al ristorante, dove tutto è più curato. L’atmosfera è accogliente, la luce bianca gioca con il legno scuro, la selezione dei piatti è discreta, le presentazioni scenografiche e perfino la carta dei vini è scelta con attenzione. E poi gli stuoini in paglia a pochi metri dall’acqua, con cuscini morbidi per un dopocena a guardare i riflessi della luna. Mercoledì e domenica di agosto c’è jazz dal vivo. I prezzi sono sopra la norma, ma si perdona.
Chi cerca un’alternativa alle scalette e alle passerelle del Baia può muoversi tra Mondello e la città. L’Addaura Reef (Lungomare Cristoforo Colombo 3021–3043, Tel. 091.6840171, www.addaurareef.com) vive della bellezza degli scogli dell’Addaura: guardare il mare da lì è fascino puro, il tramonto il momento migliore. Castelletti in vimini con letto matrimoniale in tela bianca e veletta a baldacchino – pare li chiamino “bed” – creano uno scenario quasi irreale. Ma la zia va avvisata: il sottofondo musicale è prevedibile, i camerieri poco preparati, niente carta cocktail, niente carta vini, e alle ragazze che servono “c’è tutto!”. Tutto cosa? Gli stuzzichini arrivano con cocktail gelati come iceberg, inutilmente salati; i quadratini di pizza ricordano la guarnizione della vasca da bagno; per un piattino di patatine si deve pregare. Peccato. Oltre ai salottini sugli scogli ci sono i tavoli del ristorante, presi d’assalto da un pubblico giovanissimo che ama vedere e farsi vedere, disposto a spendere senza pensarci troppo. Anche qui i prezzi sono alti.
Se alla zia non dovesse piacere, ho ancora un asso: il “polo di interessi”, tre o quattro locali sul mare proprio in città…
Francesco Pensovecchio
(1. continua)