Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 152 del 11/02/2010

L’INTERVENTO I love seppia

11 Febbraio 2010
cuttaia cuttaia

L’INTERVENTO

Lo chef Pino Cuttaia: “La cucina è cultura. È il frutto della identità di ognuno di noi. Dietro ogni piatto c’è una narrazione, che parla di noi”
 

I love seppia

Pubblichiamo l’intervento dello chef Pino Cuttaia a “Identità Golose”, il congresso italiano della cucina d’autore, organizzato dal giornalista Paolo Marchi che si è chiuso lo scorso 2 febbraio a Milano. In questo articolo il patron della Madia di Licata dà buona prova della sua fantasia e del suo amore per il territorio. Oltre a regalare qualche interessante dritta. Buona lettura.

di Pino Cuttaia



Ho fatto l’uovo! Con la seppia.
La seppia con i suoi colori, che vanno dal marrone al grigio al nero; il candore del manto, che appena pescato è fosforescente, ha sempre esercitato su di me un certo fascino. Nessuno dei miei piatti è stato creato se non dietro una precisa suggestione, il cucinare tanto per cucinare non mi appartiene, non ne sono capace.
Ma nel caso della preparazione della seppia, non ho inseguito soltanto una seduzione. In questo caso si è trattato di una necessità, fare i conti con qualcosa che porto dentro di me: ricordi, legami con la mia terra, con la mia gente.
Per questo la cucina è cultura: quando si prepara e quando si consuma. È il frutto della identità di ognuno di noi. La cucina è uno strumento per esprimere e comunicare la propria identità e la propria cultura.
Dietro ogni piatto c’è una narrazione, che parla di noi. In questi piatti che vi propongo ci sono ricordi di infanzia, episodi di vita siciliana.

Quando decido di cucinare qualcosa, il processo che porta alla creazione di un piatto non è diverso dalla sfida che quotidianamente tutte le massaie siciliane affrontavano, o affrontano, per portare in tavola qualcosa di buono ai propri familiari.
I gesti forse sono più attenti e le tecniche esasperate. Ma il modo in cui si arriva ad un piatto finito, da poter inserire in menù, è assolutamente identico, anche se richiede molta più fatica: una infinita serie di esperimenti e prove. Esperimenti e prove che ci sono anche nella cucina tradizionale. Una ricetta della tradizione è il frutto di una ricerca corale, che si è svolta in tutte le case, nel corso di secoli. Un piatto della cucina tradizionale si evolve nel corso del tempo, anche attraverso il confronto fra diversi modi di prepararlo, con i suggerimenti ed i consigli che ci si scambia, con i segreti ed i trucchi che ci si tramanda di generazione in generazione.
Non conosco la chimica o la fisica. I miei gesti non sono molto diversi da quelli che ognuno può compiere nella propria cucina di casa, i miei attrezzi non sono quelli di un chimico, non ho microscopi o cose del genere, la mia cucina può ricordare la bottega di un artigiano.
Come un artigiano, non sempre ho consapevolezza, dei processi che giustificano una determinata preparazione di un prodotto, cerco di assecondarne la natura, ed osservo le reazioni a determinati processi.
Attraverso gesti comuni, con attrezzi semplici, un approccio di curiosa conoscenza cerco di esaltare le caratteristiche e le qualità di un prodotto.
Cerco di dare a ricette della tradizione siciliana nuove forme, nel tentativo di coniugare creatività e semplicità.

La stagionalità
Le massaie cosa portavano in tavola? Quello che il mercato offriva loro a basso prezzo. Quindi era la stagionalità ad imporre il menù in tutte le case.
La stagione di un determinato pesce o di un prodotto della terra, veniva attesa lungo tutto l’anno. Questo creava la memoria di un sapore, di un profumo che era tipico di quel periodo, e nel resto dell’anno veniva evocato, ricordato, desiderato.
Un profumo che si imprimeva inevitabilmente nella memoria di tutti, perché non era una singola massaia a cucinare quel prodotto. Preparare i prodotti di stagione era un rito collettivo, in ogni tavola di ogni casa, in un determinato periodo, si trovavano gli stessi prodotti.
In primavera, a Licata la seppia era la regina incontrastata delle tavole. Costava poco ed era disponibile in grandi quantità.
Mia madre cucinava le seppie, le madri dei miei cugini cucinavano le seppie, le madri dei miei amici cucinavano le seppie. C’erano periodi in cui non c’era modo di sfuggire alla dieta a base di seppie, neanche facendosi invitare a pranzo da qualcuno.
Quando fra bambini ci incontravamo in strada per giocare, negli assolati pomeriggi siciliani, spesso ci chiedevamo a vicenda “cosa hai mangiato?”, in primavera era un coro unanime: seppia! Cambiavano le preparazioni, le varianti erano infinite, ma sempre seppia era.

L’abbondanza
Le seppie in primavera si avvicinano alla costa per deporre le uova, rimangono sotto costa fin quando l’acqua è sufficientemente calda, anche fino a novembre. In questo periodo, dunque, riempivano le reti, anche delle barche più piccole che pescavano sottocosta. Persino i ragazzi (i carusi), con nasse o con vari arnesi di fortuna, riuscivano a pescarle. Un marinaio con una piccola lancia a remi (lancitedda) poteva pescarne grandi quantità. Che venivano riversate sul mercato abbassandone drasticamente il prezzo. Anche nelle case più povere poteva arrivare una intera cassetta di seppie. Ed i soldi che un marinaio guadagnava dalla vendita delle seppie li utilizzava per comprare dal contadino qualcosa, che di solito non si poteva permettere, con cui avrebbe accompagnato le seppie. Così le seppie arrivavano nelle case di tutti. Nelle case dei pescatori, come in quelle dei contadini e degli operai.
La seppia si presta a numerose preparazioni sia nei primi che nei secondi e le casalinghe siciliane, nei secoli, hanno dovuto esplorare tutte queste possibilità che il prodotto offriva loro, perché dovevano affrontare questa abbondanza, dovevano riuscire ad inventare sempre nuovi modi di cucinare la seppia.
In cucina la seppia non perde la capacità di mimetizzarsi e di nascondersi che ha in natura: si può preparare in tanti modi. Le casalinghe utilizzavano vari espedienti, ed illusioni: cambiavano la forma, la cottura o gli accostamenti per evitare che la famiglia si lamentasse che si mangiava sempre la stessa cosa.
Quindi la ricerca di preparazioni nuove e diverse, il tentativo di dare alla seppia anche una forma differente era una necessità, era un espediente con cui le massaie gestivano l’abbondanza.
Anche i ristoratori avevano la necessità di gestire l’abbondanza. Le trattorie proponevano numerosi piatti a base di seppie, sviluppando una artigianalità legata alla preparazione di un pesce povero ma che consentiva una ricca varietà di utilizzi, piegandosi a varie modalità di cottura.
Ho cercato di non smarrire questo approccio semplice, artigianale, al quale ho soltanto aggiunto la creatività e la voglia di comunicare un ricordo.

La seppia, però, non ha avuto grande fortuna tra i ristoratori. Non ha mai avuto troppi onori, è un pesce popolare: più presente sulle tavole che nei banchetti.
Era il pesce che arrivava nelle case dei poveri, ai palati raffinati poteva risultare stopposo. La seppia, infatti, nella cottura esige attenzioni, va cotta con estrema delicatezza, ad alte temperature si ossida, e ne risultano compromessi consistenza e gusto, superati i 65 gradi subisce un processo di solidificazione che la rende dura, diventa croccante, anche per questo non ha mai avuto grande successo nei ristoranti.
Paradossalmente la seppia è più famosa per il nero, che è entrato in tante preparazioni, anche in alcune particolarmente raffinate.
Poteva capitare che i ricchi mangiassero il risotto al nero di seppia, magari con qualche tentacolo, mentre ai meno fortunati era riservato il resto del pesce.

Carbone di nero di seppia
Confrontarmi con la seppia era inevitabile: un prodotto del territorio, un pezzo della tradizione gastronomica siciliana, una parte della mia cultura, della mia identità.
Sono partito dal legame con la memoria, che mi riporta ai piatti che mangiavo da bambino e che mi piacevano, agli odori che si percepivano in quegli anni, per le strade. Mi sono confrontato con il territorio, con le ricette della tradizione che si tramandavano di madre in figlia.
Sono partito da queste ricette: nella tradizione c’erano molte varianti.
Ho cominciato quindi ad accostarmi al prodotto.
Come tutti sono partito dal nero di seppia.
Essiccando e disidratando il nero sono riuscito ad ottenere una sorta di carbone, l’aspetto è quello di un minerale. Polverizzando il carbone ho scoperto che la polvere è molto aromatica, come una spezia, la fragranza della tostatura ha forti sentori di caffè o fave di cacao.
Qui c’è una prima sorpresa. Il nero, sempre utilizzato come colorante, nella preparazione della pasta o nel risotto, o per dipingere un piatto, cambia forma è può essere utilizzato per aromatizzare, per insaporire e profumare un piatto. Ha subito una metamorfosi che ne ha esaltato l’aroma.

Popcorn di seppia
Le seppie in primavera vengono pescate in grande quantità perchè le femmine si avvicinano alla costa per deporre le uova di cui sono cariche. E qui ritorna la gestione dell’abbondanza, dovendo gestire tanta abbondanza, gettare via una grande quantità di uova di seppie era uno spreco che non ci si poteva permettere. Della seppia, come per il maiale, non si butta niente, era una sorta di comandamento. Quindi le massaie, attraverso varie prove ed esperimenti, sono arrivate ad utilizzare anche le uova che venivano aggiunte sia nel sugo al nero di seppia che in altre preparazioni.
Le uova hanno le dimensioni ed il colore di grossi chicchi di riso. Ricordando il maiale le abbiamo fritte, come se si trattasse dei ciccioli. A contatto con l’olio abbiamo ottenuto dei popcorn che per profumo, sapore e consistenza ricordano prepotentemente la seppia fritta.

Gnocchi di seppia
Dal nero, passando per le uova sono arrivato al mantello bianco.
La parte bianca della seppia, l’ho sempre vista come un qualcosa di candido, di puro, era un peccato farla ossidare con delle cotture aggressive. Ho pensato, che per preservarne il candore fosse necessario compiere un cambiamento della forma.
Attraverso un lungo e faticoso processo di lavorazione ho trovato che nella gran quantità di proteine presenti nella seppia c’era anche l’albumina che, proprio come nell’uovo, si solidifica e che diventa bianca ed esalta il suo candore. Ed allora ho sfruttato queste proprietà del prodotto.
Pulisco la seppia, la frullo, ottenendo una consistenza molle e collosa, quindi facilmente plasmabile. Con un sacco a poche, da pasticciere, ottengo dei piccoli bignè che ricordano la forma degli gnocchi.
Li spruzzo con acqua di mare e li spadello velocemente a fiamma alta, così da formare un sottile strato croccante all’esterno che consente di mantenere i liquidi all’interno donando agli gnocchi particolare morbidezza.
A questi gnocchi bianchi aggiungo, a mo’ di spezia, il carbone di nero di seppia ottenendo un piatto che, per sapore, e profumi, rinvia alla seppia fritta, ma con una rinnovata eleganza perché, sia dal punto di vista della presentazione che della consistenza, rimanda a preparazioni più raffinate.

Una ricetta della tradizione: Pasta con il sugo di seppie ripiene
Una ricetta tradizionale con le seppie è la pasta con il sugo di seppie ripiene.  Così il menù del giorno era assicurato, con il sugo si condiva la pasta, per secondo c’erano le seppie. Un piatto molto rustico, tipico anche delle trattorie. Era un modo di realizzare con un’unica preparazione sia il primo che il secondo. In questo caso ognuno aveva la propria ricetta, che cambiava da quartiere a quartiere, di casa in casa: il ripieno, la farcia, variava a seconda dei gusti. Di solito, però, non mancavano i tentacoli della stessa seppia, il pangrattato (per dare compattezza) ed il tritato di maiale. La seppia ed il maiale può sembrare un connubio curioso, ma ha una giustificazione. Veniva utilizzato il maiale, o la pancetta o la salsiccia, perché la seppia non ha parti grasse, non ha grassi. La fusione di questi due elementi, tanto diversi tra loro, produceva però un connubio perfetto: l’unione fra le proteine, della seppia, ed i grassi, del maiale. Le seppie, farcite con il maiale, venivano cotte nel sugo, in cui erano aggiunti anche i tentacoli e le parti rimanenti della seppia, in alcuni casi anche le uova della seppia oppure delle uova sode. Nella mia memoria, come in quella di molti miei conterranei, questa ricetta occupa un posto molto importante. Il piatto che ho realizzato rappresenta un esempio di come partendo da un prodotto tipico, da un piatto della tradizione, attraverso la ricerca, e con degli adattamenti di una ricetta antica, si può giungere ad un approdo inaspettato.

Sono passato quindi a riadattare la ricetta, influenzato dalle scoperte che ho compiuto lungo il percorso di ricerca.
Ho tritato i tentacoli e, mischiati con del macinato di maiale, li ho inseriti in un budello di maiale. Ho cotto questa salsiccia di seppia, nel sugo, insieme ad altri pezzi di seppia. In questo modo il sugo ha assunto il sapore della seppia. La salsiccia risulta ammorbidita dalla cottura, una volta macinata è perfetta per farcire la seppia.
Ho riadattato la farcia, ora dovevo riadattare la seppia, dovevo dare alla seppia una forma che ne esaltasse la consistenza ed il sapore.

Ho fatto l’uovo! con la seppia
Le possibilità potrebbero sembrare infinite, io ho cercato la soluzione nella memoria, nella tradizione, e nel percorso di ricerca che ho compiuto attorno alla seppia.
La parte bianca della seppia mi riporta alla mente il bianco dell’uovo sodo. E le uova sode potevano stare nel sugo della seppia o nel loro ripieno.
Nella seppia, mentre provavo le varie preparazioni, ho trovato l’albumina.
Il bianco della seppia, l’albumina: questi elementi, che mi avevano suggestionato molto, sono diventati predominanti e mi hanno portato a compiere la scelta di questa forma originale.
Con la seppia. ho fatto l’uovo!

Ora il problema era realizzare questa suggestione: dare alla seppia la forma dell’uovo. Ho preso un uovo di gallina. La seppia dopo aver incontrato il maiale, incontra la gallina. Fare entrare una seppia in un uovo non è operazione facile.
Ho praticato un piccolo foro nel guscio attraverso cui ho svuotato l’uovo. Ho riempito il guscio dell’uovo con la pasta di seppia, la stessa che ho usato per fare gli gnocchi. Ho lasciato una cavità che poi ho provveduto a riempire con la farcia, ottenuta dalla salsiccia di seppia.
Ho sigillato l’uovo con la seppia. E l’ho sottoposto ad una cottura delicata, 60° per 20 minuti.
A questo punto ho una sorta di uovo sodo, a tutti gli effetti, che viene sgusciato e portato a tavola.
La forma è originale ma è possibile ritrovare nell’uovo le consistenze, i colori, i sapori ed i profumi di un piatto della tradizione che, attraverso una forma insolita, scopre un’eleganza nuova.

Pasta al pesce
Per giungere a questo piatto ho dovuto fare i conti anche io con l’abbondanza. La necessità di gestire l’abbondanza è un problema che ho dovuto affrontare, come lo affrontavano le massaie, non nelle stesse forme, e con esiti diversi.
I numerosi tentativi per giungere al piatto finito, mi hanno donato l’abbondanza delle altre parti della seppia. Prima di tutto la testa.
La testa è una parte che si utilizza poco, è una parte dura, ricca di nervature.
Nelle cucine dei ristoranti era riservata al personale. Anche i miei collaboratori, in questo periodo, sono stati sottoposti ad una ferrea dieta a base di teste di seppie.
Quindi ho iniziato a cucinare le teste, ho dovuto cucinarle considerata l’abbondanza. Quando il personale ed io eravamo sfiniti dalle seppie, dopo la cottura le ho essiccate ed infine polverizzate.
Ho così ottenuto una polvere di pesce, una sorta di farina dal forte aroma di pesce fritto e dal colore della farina integrale.
A questo punto si è posto il problema di come utilizzare questa farina, per quale tipo di preparazione.
Dapprima abbiamo provato a fare il couscous, arrivare all’idea di fare la pasta è stato un attimo.
Però, si poneva una questione di non poco conto: nella farina, il glutine dona tempra alla pasta, che consente di ottenere i vari formati che resistono alla cottura.
Bisognava trovare, nella seppia, una proteina che svolgesse la stessa funzione del glutine.
Anche qui non ho fatto analisi al microscopio per trovare la proteina. Ho messo a frutto la mia conoscenza del prodotto e l’esperienza artigianale delle varie preparazioni.
Ho pensato di utilizzare le ghiandole della seppia, che sono delle sacche bianche e gommose. Si poteva utilizzare questa loro compattezza, per donare resistenza alla farina: la stessa funzione che ha il glutine nel grano.
Ho marinato le sacche, rigenerandole hanno una consistenza gommosa, hanno resistenza ma anche elasticità. Alcun caratteristiche che possono tornare utili per fare della pasta. Per traferire queste caratteristiche nella farina ho dovuto polverizzarla, ed una volta aggiunta alla farina di pesce, ottenuta in precedenza, ne ha aumentato la compattezza.
È stato così possibile fare un vero e proprio impasto ed ottenere degli spaghetti: una pasta al pesce.
Così ho riadattato, in tutte le sue parti, l’antica ricetta della pasta al sugo di seppie ripiene. Ho una pasta alla seppia da condire con il sugo delle seppie ripiene.

Credo che questi piatti possano ben rappresentare il lavoro di un cuoco che, oggi, non consiste soltanto nel compiere i gesti della tradizione culinaria. Oggi un cuoco esplora un prodotto in maniera diversa dal passato. La ricerca gastronomica porta a compiere diversi tentativi e, a volte, dagli errori possono nascere creazioni nuove.
Anche in cucina, a volte, la fortuna arriva inaspettata; e viaggiando fra i fornelli si scoprono continuamente, per caso o per intuito, cose che non si stavano assolutamente cercando. Si riceve il dono di trovare cose buone e belle anche senza averle mai cercate, sta alle capacità del cuoco trasformare in buone e belle cose che non lo sono o che non appaiono come tali.
Può capitare, ed è un dono che si riceve per l’impegno e la fatica che si mette nella ricerca, ed è una cosa che insegna ad amare la cucina e ci consegna una lezione che può tornare utile anche lontano dai fornelli.