Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 122 del 16/07/2009

L’AZIENDA/2 Un generale, la passione e il suo vino

16 Luglio 2009
vigneto vigneto

L’AZIENDA/2

Vittorio Savino generale dei carabinieri investe sui suoi ricordi e su un piccolo vigneto a Vendicari, territorio dalla bellezza mozzafiato in provincia di Siracusa. E si affida all’enologo Salvo Foti. “Ne verranno fuori poche bottiglie che regalerò agli amici. Almeno per ora…”

Un generale,
la passione
e il suo vino

Stavolta c’è di mezzo l’arma dei Carabinieri, e non si scherza. Il nuovo progetto vitivinicolo proviene nientedimeno che dal Generale di Corpo d’Armata Vittorio Savino.

Il campo di battaglia si trova tra Avola e Pachino, per il nero d’Avola la zona di elezione e più in generale una zona naturalistica tra le più affascinanti della Sicilia, più precisamente un piccolo vigneto di 8000 piante di Nero d’Avola (di cui circa 3000 centenarie) allevate ad alberello in una particella di poco più di un ettaro, all’interno della Riserva orientata di Vendicari. Qui, tra fenicotteri e specie ornitologiche rare, l’acqua arriva a lambire il vigneto, creando un microclima unico in Sicilia. Per affrontare al meglio la sfida, il Generale si è fatto assistere da un vero esperto in missioni speciali: Salvo Foti con i suoi Vigneri è all’opera da svariati mesi e questa, la 2009, sarà la prima vendemmia controllata.

Generale, come mai un vino qui a Vendicari?
Le origini della mia famiglia sono siciliane, di Catania, ed io venivo spesso con mio padre in questa zona. Ho ricordi molto vivi.

Come mai si sta cimentando nel vino?
Non creda che qui ci sia solo vino. Dal punto di vista agricolo questa è una zona ricchissima, ci sono dei profumi e dei sapori unici. Potrei citare le mandorle pizzute di Avola, i pomodorini di Pachino, le carrube, il melone bianco, gli ulivi. Certo, anche la vite assume delle caratteristiche uniche. Prima producevo del vino in minime quantità. Lo ricordo forte e profumatissimo, soprattutto durante il primo anno. Il mosto è ricchissimo di profumi, le sensazioni di frutta profonde e intense. Diciamo che ne vale la pena.

Intuisce le potenzialità di questo vino?
Da sempre. Ho avuto chiara la sensazione che questo vino, così acido e alcolico al tempo stesso e fatto dal contadino in condizioni assolutamente artigianali con mezzi di fortuna  – ad esempio, la cenere veniva usata per abbattere l’acidità – era qualcosa di speciale.

Mi appello alla sua sensibilità: si può fare meglio o diversamente rispetto a quella versione?
Il mio approccio è quello dell’appassionato, non un professionista. Però mi rendo conto che se in passato si fosse applicata più attenzione, oggi conosceremmo un’altra storia, un altro vino.

Come sta andando?
Bene. Dal punto di vista viticolo ed enologico mi sono affidato a Salvo Foti, un professionista di grande sensibilità, ed ai Vigneri. Il vigneto è piccolo, si tratta di poco più di 8.000 piante che, quando andranno a regime, produrranno in totale non più di 12-14.000 bottiglie. Giacché siamo su queste cifre non credo di commercializzarlo, non adesso. Un po’ lo terrò per me, ed il resto lo regalerò agli amici. L’operazione è in perdita secca, ma sono convinto che ne valga la pena. Comunque sono molto soddisfatto: la vigna è rifiorita. Abbiamo sostituito i vecchi pali con ceppi di Castagno, qui la pianta si può appoggiare meglio. Già si possono contare una dozzina di grappoli per pianta.

Quale ritiene la caratteristica principale di questo vino?
E’ un aggiungersi di emozioni. Bisogna venire qui per capirlo. Questi sono luoghi che lasciano il segno: i laghi dove si posano gli uccelli, il volo dei fenicotteri prima di toccare l’acqua, lo scenario creato dalla vegetazione, la vigna, le suggestioni del nero d’Avola… persino la luce della luna di notte è particolare. Perché non dovrebbe essere così anche per il vino?

Francesco Pensovecchio