Una strategia che passi attraverso la rinascita delle cantine sociali, il fare sistema, i vitigni autoctoni, la cultura, la scoperta di nuovi territori. Sono queste le mosse suggerite dal master of wine Andrea Lonardi, per la viticoltura siciliana.
Nella sua analisi Andrea Lonardi, a Modica per la XXI edizione di Sicilia en Primeur e chiamato a tenere un articolato discorso su presente e futuro del vino siciliano, affronta innanzitutto i punti di debolezza: “Va registrata una forte erosione del vigneto Sicilia, che si è contratto molto: del 30% circa, ben oltre il dato medio che è del 12%. Il secondo punto è certamente legato al clima: è sempre più difficile fare viticoltura nel cuore del Mediterraneo, soprattutto se si adottano sistemi continentali, come è stato fatto nel passato”. La terza criticità, secondo il Master of Wine, è strutturale e riguarda le difficoltà delle cantine sociali di creare valore: “La Sicilia non può pensare di farne a meno, deve pensare a un recupero della parte sociale, attraverso progetti strategici, in cui servono capacità manageriali e coesione”. È essenziale, dunque, definire una strategia chiara che valorizzi l’identità territoriale, integrando vino, turismo, gastronomia e cultura, per creare valore aggiunto e sostenere lo sviluppo a lungo termine del settore. Insomma: il vino oltre i confini della bottiglia.
Tutti aspetti che riguardano certamente il “Sistema Italia” ma che in Sicilia pesano ancora di più “anche per un modo di fare che ha caratterizzato non solo gli ultimi 20 anni. Le grandi famiglie siciliane che hanno fatto da traino a decine di piccoli e medi produttori, rappresentano un modello – mette in evidenza Lonardi -. Adesso è necessario costruire una rete che sia in grado di andare oltre il successo dell’Etna (che il MW cita più volte durante la sua analisi come modello vincente e per certi versi da prendere in considerazione, ndr) e che sappia legare altri territori che hanno un forte legame tra valore emotivo, identità del vitigno e la riconoscibilità del vino”.
Il tema è che il vino in Sicilia non è solo produzione, impresa ma è soprattutto, come accede in altre parti del mondo, un valore culturale. Perché ci sono anche i punti di forza, a partire da una grande biodiversità che passa attraverso oltre 70 varietà autoctone: “Vanno studiate e capite – continua Lonardi – e si può dislocare la viticoltura dell’Isola: si può salire in altitudine, pensando a un nuovo modello di vitivinicoltura del Mediterraneo”.
I territori che vogliono avere contenuti per il futuro devono investire sulla identità e sulle persone: “È nel capitale umano che si trova la parte più importante di questo sistema”.
E a margine dello speech seguito dalla nutrita platea di giornalisti presenti a Sicilia en Primeur Lonardi aggiunge alcune considerazioni sui territori “inesplorati” sui quali si potrebbe investire. “Sicuramente tutta la parte centrale della Sicilia, a partire dalle Madonie, i monti Erei, i Nebrodi, vicino all’Etna, dove si possono sviluppare per esempio Nero d’Avola, così come Catarratto e Chardonnay. Un altro territorio molto interessante è lo Stagnone di Marsala che, per la sua conformazione ‘a catino’, non soffre problemi di siccità”.