Il mondo del vino aspetta ancora (invano), forse (leggi qui>) un grande film che lo ritragga e lo racconti. Il vino e le sue storie, quando arrivano sul grande schermo perdono quasi sempre, mordente, profondità e persistenza. Se Madame Clicquot in questi giorni nelle sale non è ancora il capolavoro che aspettiamo è sicuramente un film da vedere, se non altro perché la storia che racconta è quella sì, una volta tanto, una grande storia che merita di essere conosciuta da tutti gli amanti dello champagne, quindi da una fetta maggioritaria dell’umanità. La storia dello champagne, del vino in generale e quindi del piacere umano, deve a Madame Cliquot, al secolo Barbe Nicole Clicquot Ponsardin, molto di più di quanto non debba a quel Dom Perignon in cui i libri di storia, sono soliti assegnare l’invenzione dello spumante di cui sono fatti i sogni. Alla giovane vedova si devono nell’ordine il primo Champagne Millesimato della storia, il primo champagne rosé e l’invenzione (quella sì rivoluzionaria) del remuage, ancora oggi il cardine del procedimento produttivo del metodo champenoise, non male per una donna che, come tutte le donne non era legalmente autorizzata dal (modernissimo) codice napoleonico ad essere a capo di un’azienda.
Impeccabili ambientazioni e costumi anche se, la produzione non è francese, si vede e soprattutto si sente, per chi come me lo ha visto in lingua originale fa un po’ effetto sentire l’inglese tra quelle vigne, (non amo il doppiaggio, come i lieviti selezionati nel vino, appiattisce, omologa, banalizza). Se, su queste pagine abbiamo parlato da poco di un libro, francese, (leggi qui>) che ci racconta, il sessismo e le difficoltà delle donne nel settore dell’alta (e bassa cucina), ancora più arduo sembra essere per una donna, “farcela” nel mondo del vino, uno dei più, maschilisti e patriarcali in assoluto. Basti pensare, come ben si sottolinea nel film che nella illuminista e libertaria Francia, dell’altrettanto liberatorio codice napoleonico, non era concesso ad una donna essere titolare di un’impresa fino al 1965, cosa che ci ricorda che la nostra Europa era (?) più simile all’Afghanistan talebano che alla modernità in cui ci vantiamo di vivere. Tra congiunzioni astrali favorevoli (il 1811 è l’anno della cometa) e una visione testarda e coerente, che la porta ad aggirare l’embargo in vigore durante le guerre napoleoniche per arrivare a vendere agli zar russi (ricordiamo sempre che la Russia è stato il mercato per lo champagne), la storia di Madame Cliquot è prima di tutto un’epica femminile prima e femminista poi, guidata da buon gusto e tenacia, da un, frizzante, assemblaggio di talento e testardaggine questo biopic è molto più della storia di un’azienda à la Air, in versione vinosa, è prima di tutto una storia di visione, di vino e della vita in una Francia patriarcale e bigotta.
Le scene del “processo”, in cui una platea di maschi bianchi di mezza età che giudica e racconta una donna a cui non è dato adito di parlare, di raccontarsi e di cui è bandita ogni agency, nel mondo post (?) me too e post Sangiuliano hanno un che di sicuramente agghiacciante se non di palesemente violento. Un film imperfetto, non forse un Grand Cru ma sicuramente frizzante e di carattere che ci ricorda, per l’ennesima volta, dell’importanza delle donne nelle storia e di quasi tutte le storie del mondo, e anche, quella del vino, anzi di quello più iconico del mondo del vino che non sarebbe lo stesso senza la donna protagonista di questo film. La donna che seppe eliminare le bollicine a forma di “occhio di rana” e regalarci una delle cose per cui la vita vale la pena di essere vissuta. Ovvero, il perlage dello champagne e scusate se è poco. Un film imperfetto e vibrante come tutte le storie di vera umanità, una storia meravigliosamente appagante e persistente, come un rosè millesimato che senza la Vedova Cliquot, probabilmente non esisterebbe.