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L'intervista

Ian D’Agata: “Dal mio primo Frascati ad oggi Vi racconto il mondo dei vitigni autoctoni italiani”

18 Settembre 2015
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Il suo libro “Native Wine Grapes of Italy” ha vinto il premio come miglior libro dell'anno sul vino


(Ian D'Agata alla premiazione avvenuta a Londra)

Ian D’Agata ha vinto il premio internazionale “Libro dell'anno sul vino” con il suo nuovo lavoro “Native Wine Grapes of Italy”.

D’Agata nel suo lavoro, parla dei vitigni autoctoni dell’Italia, che hanno fatto la storia, che hanno appassionato generazioni. Lo fa in inglese, “perché tanto in Italia non abbiamo bisogno di ricordarci del Nerello Mascalese o di altre nostre eccellenze, ma credo che nel resto del mondo ci sia voglia di scoprire questa parte del vino italiano sconosciuto ai più”.
La passione del vino e dell’uva, per Ian, ha lo sfondo di una trattoria romana ed il sapore di un vino Frascati: “Mi chiedevo perché esistevano Frascati eccellenti ed alcuni brutti e quasi imbevibili. E fu un oste a condurmi nei suoi vigneti a farmi appassionare al mondo dell’’uva, dei vitigni autoctoni e del vino e a condurmi su questa strada”.

(Il libro di D'Agata che ha vinto il premio)

Oggi Ian D’Agata è una delle penne più importanti per Decanter e racconta, con i suoi articoli, il fenomeno del vino italiano con passione, descrivendo spesso vini sconosciuti e quasi introvabili, ma contribuendo, e non poco, a far avvicinare ancora di più appassionati al vino del Belpaese.
“L’Italia del vino sta bene, direi anzi molto bene – spiega Ian – questo perché finalmente abbiamo smesso di piangerci addosso ed abbiamo iniziato a lavorare seriamente puntando sull’eccellenza. E i risultati si vedono. Grazie anche ad una comunicazione sempre più intensa, più social e più importante che ci ha permesso di raggiungere paesi impensabili. A differenza della Francia che, anche a causa della legge Evian, non può sponsorizzare i suoi vini e stanno accusando il contraccolpo”.

La Cina per D’Agata non deve far paura, anzi: “Il fatto che stiano diventando dei produttori di vino può far solo far del bene al mercato mondiale – spiega – perché questo non vuol dire che faranno solo concorrenza, ma creeranno un “parco” di appassionati che avranno voglia di bere anche vini da altre parti del mondo e non solo quello cinese. Un po’ come accade ovunque”.
Il calo di consumi rilevato in questo ultimo periodo si deve, per D’Agata ad una mancanza di cultura del vino delle nuove generazioni: “Bisognerebbe educarli al buon vere – spiega – non sei boccali di biorra ma un calice di vino di una certa qualità. Loro ritroverebbero il bello del bere e dello stare insieme, senza ubriacarsi”.

D’Agata sorprende sempre per la sua conoscenza del mondo enologico internazionale. Sarebbe capace di elencare etichette su etichette anche per ore. Ma ne sceglie tre, quelle speciali, o meglio come dice lui “gli ultimi tre vini che mi hanno davvero emozionato”: sono Chateau d’Yquem 1967, Condrieu Les Chaillées de l’Enfer Georges Vernay 2001 e Ruchottes-Chambertin Georges Mugneret 1985. Tre vini eccezionali. “Anche se quello italiano non ha nulla da invidiare agli altri”.

Giorgio Vaiana