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L'intervista

“Il mio segreto? Abbinamenti impensabili”. Il sommelier Giovanni Tortora stupisce in sala

01 Maggio 2015
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Lavora nel ristorante dello chef stellato Angelo Sabatelli

Il successo in un lavoro quasi sempre si ottiene grazie ad un sapiente gioco di squadra.

Soprattutto nel mondo della ristorazione. Lo chef, per quanto possa essere bravo e brillante, deve essere supportato e coadiuvato da un team in sala affiatato e preparato. Come in uno spettacolo teatrale il regista collabora in sintonia con i suoi attori, così il personale di sala deve farsi portavoce di quella che è la vision, il racconto nel piatto dello chef impegnato in cucina.
“La passione è innata, è in ognuno di noi, è la marcia in più. La bravura si impara, si acquisisce nel tempo. Il servizio può essere gestito con la miglior tecnica ma il cliente rimane affascinato dalla passione che la persona trasmette nel raccontare un piatto e nel motivare l'abbinamento con un determinato vino anziché un altro”.

A raccontarsi è Giovanni Tortora, il giovane sommelier che collabora con lo chef stellato Angelo Sabatelli.
“Avevo la passione per il vino, ma non la cultura – sottolinea Tortora -. In casa si è sempre prodotto ma non di grande qualità. Dopo aver concluso gli studi presso l'istituto alberghiero, ho lavorato in sala come cameriere. Un giorno, un mio amico mi disse che Sabatelli aveva pubblicato un annuncio per la ricerca di un sommelier, decisi di mettermi in gioco anche se non avevo idea di cosa mi attendesse”.
Tortora era abituato alle sale ricevimenti. Con entusiasmo e con fare convinto, durante la conversazione affermò che avrebbe provveduto ai venti coperti in un batter d'occhio.

“Angelo sorridendo mi diede una pacca sulla spalla e mi invitò per un periodo di prova dicendomi 'Se cresceremo lo faremo tutti assieme'. Mi sono sentito parte di un progetto e volevo dare il meglio di me. All'inizio avevo a disposizione circa 400 etichette ad oggi si aggirano sulle 700 – dice Tortor -. I primi tempi sono stati molto difficili, ma nonostante ciò divertenti. Ho dovuto affrontare una realtà completamente diversa. Si contavano circa venti coperti con tre o quattro persone in sala e le attenzioni per il cliente erano quadruplicate. Credo di essere stato scelto perché ha trovato in me la passione ed una buona conoscenza dell'enologia pugliese. Ero convinto di sapere di vino, ho scoperto che la mia era una conoscenza basilare. Mi sono rimboccato le mani per studiare tantissimo. Questo è stato il mio approccio con il mondo della cucina gourmet. Ad oggi posso serenamente confermare che si è realizzato tutto quello che ci siamo augurati”.

Sabatelli, come tutti gli artisti di cucina è molto esigente, molto preciso e attento.

“Dopo essere riuscito a sintonizzarmi sulla sua stessa lunghezza d'onda collaborare è diventato più facile ma non semplice – dice Tortora -. Mantenere una stella Michelin vuol dire garantire quotidianamente uno standard alto di qualità, essere perfetti al cento per cento. Un cameriere è presente ma mai invadente, deve capire le esigenze del cliente, il motto è fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a noi stessi. Il cliente vuole sentirsi coccolato. Anche nelle giornate ‘no’ dobbiamo essere dei professionisti con il sorriso”.

Che vini non devono mancare nella sua cantina?
“Da buon pugliese un buon primitivo non può mai mancare, sono orgoglioso che si parli dei nostri vini non più come uve da taglio ma di prodotti di pregio. Adoro il primitivo di Gianfranco Fino perché ha segnato un punto di rottura e poi quello di Gaetano Morella, altro grande interprete del primitivo di Manduria. Per quanto riguarda il negroamaro sono particolarmente affezionato a Severino Garofano, ho avuto il piacere di conoscerlo di persona sembra il vicino della porta accanto. Sono anche un estimatore delle produzioni biodinamiche”.

E per gli abbinamenti, come fa?
“Nella vita come negli abbinamenti bisogna azzardare, bisogna provare. Perché non associare alcuni rossi ai piatti di pesce? Naturalmente occorre tener conto del tipo di pesce a disposizione. Suggerisco il frappato siciliano, il nerello mascalese dell'Etna e anche il pinot nero. Da sommelier ho il dovere di saper far fare delle esperienze sensoriali, di far conoscere gli artigiani del vino che si sporcano le mani per lavorare la terra. Quando sei in un grande ristorante il mondo ti gira attorno. Sono felice di aver fatto una seppur breve esperienza presso l'Osteria Francescana grazie a Giuseppe Palmieri il mio mentore. Da lui ho imparato l'umiltà e che per riuscirci bisogna metterci: testa, pancia e cuore”.

Annalucia Galeone