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L'intervista

Mattia Vezzola: “Nell’epoca del pendolo ci vuole il lievito della coerenza”

16 Maggio 2013
mattiavezzola mattiavezzola

“Per riuscire in questo momento storico a fare la propria parte nel mercato, nazionale  e  internazionale, ci vuole il lievito della coerenza”.

 E’ il consiglio che Mattia Vezzola, colui che firma i vini Bellavista, enologo “innamorato” della sua terra (tiene particolarmente al concetto di Amore), dà ai produttori franciacortini e italiani. Lo abbiamo incontrato ad una cena/degustazione curata da una cultrice dello stile tout court, Sara Campione, fondatrice di Lené eventi. Si è svolta proprio nel suo quartier generale, location d’elité Belle Epoque nel cuore di Catania, dove l’Arte si unisce alle migliori espressioni del gusto. La serata siciliana è stata occasione per degustare 4 vini dell’azienda icona della Franciacorta e per “interrogare” Vezzola su alcuni temi caldi dell’attualità del vino.


Sara Campione e Mattia Vezzola

Come sta la Franciacorta?
“Viviamo un momento di riflessione. Siamo coscienti di essere una delle perle dell’eccellenza enologica nazionale. In Oriente suggeriscono di non sbagliare due cose. La prima è la direzione del passo, la seconda la velocità. Se acceleri e sbagli non puoi più tornare indietro. Credo che la Franciacorta stia dimostrando esempio di coerenza. Non c’è un rosso in Franciacorta”.

E’ boom di bollicine Made in Italy
“Si, noto che ci sono bollicine ovunque, da quattro anni a questa parte. Ma li definirei vini della disperazione”.

Cosa intende?
“Significa che molti vogliono fare troppe cose, per seguire a tutti i costi il mercato, quando ancora si è lontani dall'essere consapevoli del proprio valore. Il padre eterno ci ha dotato di un territorio. Ognuno deve fare una sola cosa e bene”.

Secondo lei siamo ancora lontani dai francesi?
“Non possiamo sempre fare questi paragoni. Noi dobbiamo essere coscienti di quel che facciamo, della qualità del nostro lavoro e dei nostri vini. Dobbiamo comprendere il valore del nostro carattere e del nostro Paese, senza temere nessuno, senza temere di essere noi stessi. Certo è importante confrontarsi, questo sì, soprattutto dal punto di vista qualitativo”.

Come vede il mondo del vino oggi?
“Siamo nella fase del pendolo. Ci sono vini di territorio, dal un lato si fanno ricerche sui vitigni autoctoni o reliquia, e all’altro estremo invece vediamo produrre vini bianco carta, come li definisco io, vini costruiti per le competizioni. E poi viviamo nell’epoca dei falsari. Non sai più cosa è l’originale e il falso”.

Cosa pensa allora dei vini naturali?
“La parola naturale che si sente oggi è un’inutile chiacchiera. Naturale significa avere rispetto. E’ un prerequisito. Però facciamo un esempio, se ho un emobolo non posso mica arrivare in Tibet per cercare quell’erba miracolosa che può curarmi. Non bisogna essere estremisti. La tecnologia deve essere a servizio della naturalità”.

Si cerca di fare oggi un vino sempre “più sano”, si è fatto un passo avanti importante per la riduzione dei solfiti. Cosa ne pensa?
Finalmente direi. Sono una delle poche persone al mondo che in tempi remoti, esattamente dal ’74, ha voluto ridurre l’utilizzo della anidride solforosa lavorando appunto con l’ossidazione dei mosti”.
 
Come deve operare l’enologo?
“Non deve mai prescindere dalla qualità. E deve lavorare con originalità, ricercando la perfezione”.
 
Cosa è la perfezione per lei?
“La sublimazione. Non esiste la perfezione in senso stretto. Sempre la filosofia orientale ci insegna la ricerca della perfezione, che non si raggiungerà mai. E la perfezione è proprio questa ricerca. Ce lo insegna la natura stessa, e nel nostro lavoro ne abbiamo ogni giorno le prove”.

Il vino del futuro
“Il vino del futuro deve essere di origine, contemporaneo, proprio progettato per la contemporaneità. Andare in carrozza oggi è anacronistico. La filosofia deve sempre essere agganciata alla tradizione però deve mettere in condizioni di poter guidare la tecnologia, che è un aspetto che accompagna la nostra vita. E la tecnologia, proprio ispirandosi alla tradizione, deve preservare al massimo la natura, rispettare ciò che ci è stato dato. Poi mi auguro che sia soprattutto italiano”.
 
Cosa pensa dei vini prodotti nei Paesi che non hanno una vocazione territoriale forte in tal senso.
“Dico solo una cosa: i vini europei rappresentano il valore, il resto del mondo tenta invano di assomigliarci. Cosa possiamo dire per esempio della Cina? Si comincia a fare vino pure lì certo,  acquistano pure Chateaux in Francia, ma loro hanno solo i soldi, comprano solo status symbol, non hanno certo credibilità”.

Dove si andrà a finire?
“In un posto dove i figli saranno innamorati dei padri. Parlo dell’amore verso la propria terra, quell’amore da cui millenni fa nacque l’intuito che, coltivandola e rispettandola, lei poteva dare un tesoro”.

Una curiosità, perché ha scelto di fare l’enologo?
“Per compensazione. Mio padre faceva il viticoltore”. 

La cena organizzata da Sara Campione ha visto protagonista Bellavista nel calice e anche nel menu. Sofisticato questo e dedicato all'essenza della materia prima. Studiato per proporre portate leggere in cui la contaminazione di culture, latitudini e storie l'ha fatta da padrone.

Scenografia perfetta per i quattro vini presentati da Vezzola:  il Franciacorta docg Cuvée Brut s.a in magnum; Franciacorta docg Gran Cuvée Brut rosé '07; Franciacorta docg Gran Cuvée Nectar demisec; Franciacorta docg extra brut Vittorio Moretti '06. 

Ecco il viaggio sensoriale formato finger food studiato da Sara Campione: Carpaccio di trota salmonata; Crostini con foiegras d'oca; Risotto mantecato al Franciacorta; Millefoglie di carne salata con pasta fillo e mela verde; Selezione di sushi; Crema di patate alla vaniglia con olio al tartufo bianco; Spuma di zabaione al Franciacorta. A chiusura della serata il momento clou tradizionale di ogni festa che si rispetti: la spaghettata di mezzanotte (spaghetti aglio, olio, peperoncino e pomodorini secchi). 


 

Manuela Laiacona