Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervista

“Perché la birra artigianale ha successo”

30 Aprile 2013
leonardo leonardo


Leonardo Di Vincenzo

E’ sotto gli occhi, anzi nei boccali o calici, di tutti: la birra artigianale in Italia oramai è un’onda irrefrenabile.

Il comparto cresce a doppia velocità, sappiamo che nasce un microbirrificio al giorno, e la  qualità del prodotto sta raggiungendo alti apici. Si moltiplicano gli eventi dedicati alla birra e le occasioni che riuniscono i brewer e gli appassionati. Sempre più bevitori scoprono il prodotto e un nuovo mondo. Certo non possiamo parlare di stile italiano e di tradizione, c’è un gap culturale e temporale da colmare rispetto ai grandi Paesi produttori di birra come Belgio, Germania e Inghilterra, ma i nostri ce la stanno mettendo tutta, forse perché giovani, forse perché questo mercato è uno dei pochi che può dare reddito o quanto meno prospettive, rispetto all’alternativa del varcare i confini per avviare, tanto per tentare,  progetti all’estero. L’età media dei produttori di birra è di 30 anni, il range va dai 22 ai 35.  Abbiamo discusso sullo stato attuale del mondo della birra tricolore e su cosa riserva il prossimo futuro con  Leonardo Di Vincenzo di Birra del Borgo che si trova a Borgorose in provincia di Rieti. Leonardo è un biochimico che ha deciso di vocarsi a quest’arte, oggi è uno dei fuori classe del comparto. Trentasei anni, ha messo su una realtà che conta 22 dipendenti, 35 tipologie di birra e una produzione che supera il milione di bottiglie.  E’ anche docente alla Open Briew, la  prima scuola, nata quest'anno, di birra laziale fondata  ad Artena e promossa dall’associazione Degustatori Birra. Si tratta di un corso didattico che mira a formare futuri maestri birrai e che utilizza, come aula per la pratica, il micro-birrificio didattico del comune, uno dei tanti progetti avviati dall'amministrazione di concerto con i birrai locali per dare nuovo impulso e rivitalizzare il borgo medievale.
 
Si è scoperto un modo diverso di fare birra e tutti stanno investendo in questo settore. Siamo dinnanzi ad una moda?
“E’ un fenomeno dilagante, sta avendo un effetto a cascata importante. Certo in questo momento di recessione molti stanno pensando a questo tipo di investimento. Non parlerei di moda. Non tenderà a sparire. Nel 2005 di birrifici ce ne erano anche un centinaio, nel 2009 si è toccata quota 180, siamo saliti adesso a 550. Non ho mai visto una crescita così elevata, poi soprattutto nel centro Italia. Ricordiamo che è un fenomeno nato nel nord del Paese”.

Perché è un tipo di attività che attira i giovani?
“Il mondo della birra è diverso da altri settori. Rispetto al mondo del vino che rimane una casta chiusa. La birra è più semplice e sicuramente, aspetto da non sottovalutare, il farla è divertente. E’ forte il rapporto umano che c’è in questo tipo di lavoro. Certo dà dei profitti ma a lungo termine, non sono veloci e facili i guadagni”.

Però è un prodotto che è riuscito a conquistarsi una fascia di prezzo che sicuramente remunera.
“La birra artigianale viaggia costantemente tra le 10 e le 15 euro e comunque è difficile che viaggi al di sopra delle 20.  Un prezzo che consente il mantenimento dell’artigianalità di questa produzione, forse nella mente del consumatore è anche una sorta di garanzia. Non si è mai abbandonata questa fascia. Non ha la stessa variabilità dei vini la cui forbice è larga,  troviamo etichette che vanno da 5 euro e da 200 euro e anche di più”.  

Ma si può parlare adesso di stile italiano? O ancora ci vorrà tempo?
“Diciamo che si sta delineando. Ma non ci sono schemi ben precisi. Il birraio italiano sta puntando su ingredienti territoriali anche sui lieviti autoctoni e poi è libero, a differenza dei belgi, dei tedeschi e degli anglosassoni, può esprimersi come meglio crede con prodotti nuovi. Noto che le birre italiane stanno raggiungendo una sorprendete eleganza ed equilibrio. E questa caratteristica gli viene riconosciuta anche dai palati esteri abituati alle birre artigianali che fanno scuola. Questo può essere il nostro punto di forza”.
 
Quindi ci può essere spazio per le birre artigianali fuori confine e nei Paesi tradizionalmente produttori di questa bevanda?
“Ricordo quando una volta andai ad una delle più importanti manifestazioni sulla birra in Inghilterra, il Great British Beer Festival, ancora non avevo aperto il birrificio, le birre nostre, le prime birre italiane che prodotte venivano guardate con sospetto. Sono ritornato lì l’anno scorso e il banco delle birre artigianali italiane era letteralmente preso d’assalto, suscitando anche l’attenzione della stampa di settore e soprattutto di buyer e operatori. Prima eravamo visti come outsider, ora siamo una novità”.

Ma non temete la concorrenza all’estero?
“No, anche perché c’è poco prodotto rispetto alle richieste”.

Come si è evoluto il gusto del consumatore italiano di birra?
“Diciamo che c’è una birra per tutti. Il neofita rimane affascinato da quella birra che richiama lo stile belga, che ha uno stile fruttato con una forte carica aromatica, forse perché adatta alle abitudini del nostro palato, abituato a bere vino. Poi dopo che ci si è avvicinati a questo tipo di birra si appezza quella con forte luppolo, con un’amarezza elevata e poi, parliamo di un terzo step, ci si approccia a quelle a fermentazione spontanea con aromi evoluti”.

Ritornando alla materia prima. In Italia che tipo di colture o di approvvigionamento c’è?
“Abbiamo il malto d’orzo italiano che è di qualità. Ci sono tante malterie che lo maltano, il 60% sono proprio nel Lazio. Anzi nella nostra regione abbiamo stilato un disciplinare di produzione per l’uso delle materie prime, stiamo cercando di regionalizzare la filiera della produzione, incoraggiando a utilizzare spezie, cereali, erbe del territorio. Da qui è nata l’idea del progetto LAZIALE, la birra 100% prodotta con materie locali, condiviso da otto birrifici che fanno parte dell’Associazione Birrai del Lazio e sponsorizzato da Assobirra e Arsial”.
 
Cosa ci dici sulla normativa in materia di etichettatura?
“Dibattiamo da tempo su questo. Purtroppo abbiamo una normativa obsoleta, non segue il mercato. Se scrivi birra artigianale sull’etichetta rischi di beccare una multa. Non è una categoria merceologica per la legge. Poi non c’è tutela dalle imitazioni, e ci chiediamo se sia il caso di creare un disciplinare, questo però comporterebbe, dall’altro lato, anche il vincolare in parte la libertà del birraio. Tutti noi stiamo riflettendo, è un tema caldo proprio di questi giorni. C’è chi guarda agli Usa, lì la definizione merceologica di birra artigianale è legata alla dimensione del birrificio e al grado di indipendenza dalle multinazionali (la loro partecipazione nella proprietà non può superare la quota del 20%).  Per cui il prodotto va sotto la categoria birra se le dimensioni no vanno oltre una certa soglia. Ma ancora rimangono molti dubbi”.

Manuela Laiacona