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Cibo e dintorni

A Roccamontepiano nasce il Presidio Slow Food per salvare la cotta del mosto d’uva

05 Novembre 2025
Cotta di Roccamontepiano, Presidio Slow Food (ph. Marco Del Comune) Cotta di Roccamontepiano, Presidio Slow Food (ph. Marco Del Comune)

Una ricetta antica, una comunità unita e una nuova occasione di rinascita per il territorio

A Roccamontepiano, un piccolo paese di millecinquecento abitanti in provincia di Chieti, il vino cotto è molto più di una bevanda: è una parte dell’identità collettiva. Da generazioni le famiglie lo preparano per celebrare i momenti più importanti della vita, come la nascita di un figlio o un matrimonio. «Ogni casa custodisce la propria ricetta, tramandata di padre in figlio – racconta Adamo Carulli, presidente dell’associazione Produttori Vino Cotto d’Abruzzo e referente del nuovo Presidio Slow Food della cotta di Roccamontepiano –. Quando arriva un ospite speciale, è consuetudine aprire una bottiglia molto vecchia: io stesso, qualche anno fa, ho assaggiato un vino cotto del 1924».

Il nuovo Presidio Slow Food nasce proprio per tutelare questo sapere collettivo e il metodo di produzione che lo caratterizza. Il vino cotto si ottiene dalla cottura del mosto d’uva, una pratica diffusa in varie zone dell’Italia centrale, ma a Roccamontepiano la preparazione avviene seguendo un procedimento unico, frutto di un lavoro condiviso. Il mosto – generalmente di Montepulciano d’Abruzzo – viene cotto per oltre sette ore fino a ridurne di due terzi il volume. Successivamente si aggiunge la stessa quantità di mosto fresco e si lascia fermentare naturalmente per almeno un anno. «Se si parte da cento litri di mosto e ne restano trenta dopo la cottura, se ne aggiungono altri settanta di fresco – spiega Carulli –. Più il vino cotto invecchia, più acquista profondità e complessità».

A Roccamontepiano questo processo si svolge nel centro di cottura comunitario, nato grazie al sostegno del Gal Majella Verde. Qui i produttori, riuniti nella cooperativa Vino Cotto, portano le proprie uve, cuociono il mosto e producono il vino, che possono destinare al consumo familiare o mettere in commercio con un’unica etichetta condivisa. I numeri sono piccoli – circa dieci quintali di prodotto all’anno, mille o poco più le bottiglie – ma fondamentali per garantire la sopravvivenza di una pratica che rischiava di scomparire.

«Senza il centro di cottura, il vino cotto sarebbe ormai solo un ricordo – sottolinea Enca Polidoro, referente Slow Food del Presidio –. Le abitazioni moderne non permettono più di lavorare grandi quantità di mosto e mancano gli spazi adeguati. Il centro, invece, mantiene viva una consuetudine e crea un luogo d’incontro per la comunità». A questa rinascita contribuisce anche la Festa del Vino Cotto, che ogni anno, a inizio novembre, anima il paese con degustazioni, musica e racconti.  Un tempo il mosto veniva cotto in un grande paiolo di rame, lu callare, dove si inserivano anche un pezzo di ferro per neutralizzare il rame e un frammento di piatto in terracotta per regolare l’ebollizione. Oggi i calderoni sono in acciaio e permettono un controllo preciso della temperatura, ma un vecchio paiolo resta in esposizione, memoria viva di un gesto antico.

Per Slow Food, la cotta di Roccamontepiano non è solo un prodotto da proteggere, ma anche un’opportunità di crescita per il territorio. «Questo Presidio può diventare un motore per il futuro – afferma Polidoro –. È un modo per far conoscere la nostra comunità, per raccontare il lavoro di chi crede ancora nel valore delle cose fatte bene e per coinvolgere i più giovani in un progetto condiviso».