Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Dove mangio

Edoardo Fumagalli, l’artista dei fornelli: tra contrasti di temperature e gusti inaspettati

15 Luglio 2020
edoardo_fumagalli edoardo_fumagalli

di Alessandra Meldolesi

Non era facile succedere ad Alfio Ghezzi, in quello che ormai si è affermato come il ristorante più importante del Trentino.

Di fronte alla decisione dello chef di correre in solitaria, tuttavia, la famiglia Lunelli sembra avere azzeccato un rinnovamento che non era affatto scontato. I colloqui sono stati diversi, la prova una sola: è bastato che il trentenne Edoardo Fumagalli cucinasse i suoi piatti alla Locanda Margon per mettere tutti d’accordo. Il temperamento, del resto, non manca a questo chef tanto giovane quanto ambizioso. Lo racconta un fitto curriculum, dove le esperienze si incastrano ermeticamente. À bout de souffle. Durante l’alberghiero qualche albergo, anche all’estero, poi il Marchesino all’epoca di Daniel Canzian, la macelleria di Sergio Motta, per approfondire la materia, la lunga permanenza al Taillevent di Alain Solivérès, tempio del classicismo dove apprende i fondamentali ed esce junior sous-chef, e quella al Daniel di New York, tre stelle dai grandi numeri e dalla brigata giovane e multiculturale, alacre fucina di scambi. Anche lì in ultimo junior sous-chef. Più qualche breve passaggio a Lasarte, Piazza Duomo e Château Les Crayères.

(Locanda Margon)

Per la prima volta chef alla Locanda del Notaio di Como, graziosa struttura un po’ penalizzante nei flussi, a Trento ha finalmente trovato un ristorante all’altezza del suo talento di giovane creativo. E con sé ha portato gran parte della brigata, dal secondo Federico Sarzi al pasticciere Damiano Bonomi, per un’età media bassissima, attorno ai 25 anni. Mentre la sala resta affidata al maître Alexander Valentinov, che si è sintonizzato sulle frequenze sbarazzine della cucina adottando piccoli accorgimenti: in era covid, ogni piatto giunge in tavola coperto di cloche; ma l’intenzione è soprattutto quella di trattare il cliente “in modo singolo”, resettandosi di volta in volta. Lucida e ludica, per citare un claim di Pierre Gagnaire, la cucina di Fumagalli risalta per tecnica e precisione. Mai una sbavatura nel piatto, sempre frutto di studio e riflessione maniacale, con un tasso di lavoro altissimo. Ma a colpire, quasi per via di contrappasso, è la vivacità imbizzarrita del percorso, fatto di contrasti aguzzi e convulse ripartenze, inversioni di registri e di temperature, lampi di acidità e freschezze balsamiche, che esorcizzano lo spauracchio della noia. Qua e là il divertimento sbuca in un sentimento di meraviglia tutto barocco e quasi spagnolo; eppure le tecniche restano perlopiù classiche, i gusti sono netti, gli ingredienti riconoscibili, le loro interazioni sorprendenti. Sembra quasi di mangiare sul tappeto di un fachiro, tanto le sollecitazioni si susseguono impazienti, senza smettere di pungolare, precise come un’agopuntura: gelato, salato, acido, caldo, sferzante… Gusti e profumi entrano in sinergia con gli umori e le sorprese, i sensi con i sentimenti. Un approdo stilistico inatteso, dopo una formazione di impronta fortemente classica. “Ci ho messo tanto per emanciparmi dal francesismo che mi frenava – confida – Anche se oggi mi ritrovo in possesso di basi che posso utilizzare altrimenti. Dentro di me sentivo la necessità di una cucina più creativa, moderna e leggera”. Cucina che ha quindi costruito da solo, bricolando gli scambi estemporanei con i coetanei in brigata.

(Camilla Lunelli, Alessandra Meldolesi ed Edoardo Fumagalli)

Il tutto senza uscire dal progetto Margon, visto che i Lunelli continuano a nutrire idee molto chiare su cosa debba rappresentare la Locanda: un luogo vivo di vita propria che celebri l’eccellenza del territorio trentino, ma di rilevanza nazionale, dove far convergere i percorsi del bello e del buono che attraversano ogni ramo d’azienda. Le Cantine Ferrari innanzitutto, visto che il ristorante vuole essere un laboratorio di abbinamento. C’era anche lo storico chef de cave Ruben Larentis ad accogliere Fumagalli al suo arrivo: frutto del loro confronto è il menu Iridescenze e Bollicine, dove il piatto è emanazione del vino, sulle tracce dell’equilibrio perfetto. È per esempio il Ferrari Perlé 2014 a dettare la ricetta dell’uovo di quaglia glassato con crema di rape novelle e brodo di crostacei; il Giulio Ferrari 2007 quella del petto di piccione arrosto con nespole, acetosella e coscette al tartufo nero, come chiarisce il menu. Altrove Fumagalli ha carta bianca e licenza di spingere, concentrare, eretizzare. Anche perché in cantina non manca la scelta: le 800 referenze varcano agilmente i confini del Trentodoc. L’idea è anzi quella di fare della Locanda un punto di riferimento per le bollicine mondiali. La montagna non è un habitat del tutto nuovo, per uno chef in arrivo dalle sponde dell’alto lago di Como, ma la varietà trentina di prodotti ed ecotoni lo ha stupito, dal clima quasi mediterraneo dell’alto Garda, con i suoi parterre di agrumi e ulivi, ai formaggi e al burro di malga, passando per i pesci di acqua dolce dei laghi dolomitici. Tutti trattati secondo la “naturale cognizione” che battezza il degustazione più avanzato.


(Polletto arrosto)

I lampi sono tanti. Fumagalli ama gli appetizer, utili per presentare la cucina qualunque sia il percorso prescelto. Vedi il polletto arrosto microscopico (misura 15 millimetri), ricavato da una mousse cotta al vapore e glassata al suo fondo, servito su un letto di patate arrosto con maionese al pomodoro leggermente piccante e pelle di pollo croccante sbriciolata. Tecniche classiche, virtuosismo barocco; ma il senso autentico sta nella standardizzazione del procedimento e nella concentrazione del gusto. Tra poco, preannuncia lo chef, potrebbe esserci un intero menu composto di miniature come queste, complici Navarini, artigiano che lavora il rame, e il laboratorio del Muse, con le sue stampanti 3D e l’ingegnere specializzato negli stampi.

Oppure il soffice di olive del Garda, ricavato dalle molche, sottoprodotto della molitura dell’olio, che conferiscono il loro gusto deciso a una base pan di Spagna (non la solita spugna al sifone), messa a punto con lo chef pasticciere. L’omaggio a un prodotto eccezionale, da degustare ludicamente, come una gomma con cui cancellare sul piatto il disegno di olive e ramoscelli di crema alle arance.


(Brunoise di calamaro)

Le testure giocano un ruolo di primo piano nella cucina di Fumagalli. Vedi la brunoise di calamaro del Tirreno crudo, appena condita con sale e olio, servita con un arcobaleno di verdure, dalle carote multicolori alle rape, alle zucchine di diverse varietà, cotte in un ristretto di pesce di acqua dolce (salmerino e trota), più una salsa agra al mortaio di lime e alghe. Dove la complementarietà è fra vischiosità che trattiene e geometria che sfugge, il pesce di mare incontra quello di lago e lo completa con la sua sapidità.


(Club sandwich di anguria)

Lasciano il segno gli intermezzi, che terremotano la degustazione con segnaletiche impazzite. Un retaggio classico dalla contemporaneità spiazzante. Vedi il club sandwich di anguria al naturale e melone in agrodolce con gel di zenzero in agrodolce e sorbetto alla verbena, tripudio di ogni possibile freschezza;


(Gnocchetti multicolori)

oppure il gioco del gusto: 4 gnocchetti multicolori a base maionese, di cui l’ospite è chiamato a individuare l’ingrediente, immersi in una salamoia leggera. Un modo per staccare a percorso inoltrato, ma anche una dichiarazione di poetica, nella corrispondenza fra gusto e colore, nella concentrazione, nell’infallibile principio di individuazione.


(Bottoni di pasta all’uovo al prezzemolo)

Fra i primi sparigliano i bottoni di pasta all’uovo al prezzemolo ripieni di maionese alla clorofilla di prezzemolo con salsa dolce alle ostriche, ostriche al naturale, alette di cappone e lenticchie nere per il contrasto croccante. Pesce e carne bianca, erbaceo e ittico. Quasi un’ostrica gratinata sotto sembianze italiane.


(Carré di agnello)

Ancora più puristico il secondo: un carré di agnello cotto intero e servito nel modo più pulito possibile, con polvere di ciliegie disidratate per l’acidità dolce e un jus di agnello sempre profumato alle ciliegie in infusione. Lo accompagna un bouquet di erbe e fiori dell’orto (il ristorante ne ha due), condito con olio del lago, aceto di chardonnay e dressing al carpione, da degustare con le pinze. Sul fondo una ciliegia gel.


(Pietra di latte d’alpeggio)

Celebra infine il paesaggio, attraverso l’aromaticità delle erbe da foraging, la pietra di latte d’alpeggio, dessert che riproduce un sasso con la mousse di latte glassata al cioccolato e panata alla polvere leggermente sapida di fiori di sambuco; la scortano sul piatto altri gusti del bosco, fiori di sambuco freschi, gel di melissa, menta, polvere di ortica e una quenelle di gelato al pino mugo per la freschezza balsamica “effetto dentifricio”. Ma la natura è anche nei dettagli: vedi i menu di carta seminabile, con i loro semi pronti a lasciar germinare in qualche vaso di casa il ricordo del pasto.

Locanda Margon
Via Margone, 15 – Ravina (Tn)
T. 345 6165893
www.locandamargon.it
Chiuso: martedì; domenica solo a pranzo
Ferie: variabili
Carte di credito: tutte
Parcheggio: no