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L'intervista

Dario Stefàno: “Oleoturismo come enoturismo. E sulla Puglia dico che…”

26 Aprile 2023
Dario Stefàno Dario Stefàno

Dario Stefàno, Senatore della Repubblica, e docente di Economia e gestione delle imprese turistiche all’Università di Roma, scrittore e viticoltore è “un non contadino” profondamente innamorato della sua terra, il Salento. L’impegno per la promozione e valorizzazione del territorio di origine lo vede instancabilmente impegnato su più fronti. Lo abbiamo intervistato per parlare della sua ultima fatica letteraria e non solo. “Oleoturismo opportunità per imprese e territori” è il titolo del manuale scritto a quattro mani con la giornalista enogastronomica e di Cronache di Gusto Fabiola Pulieri. L’equiparazione dell’oleoturismo all’enoturismo, è la dimostrazione dell’esistenza di una domanda ancora inespressa e quindi di un mercato ancora da soddisfare. I turisti che chiedono di vivere un’esperienza, trovano nell’olio un’occasione ideale. Assistere alla produzione dell’olio e partecipare alle tradizionali degustazioni o visite guidate, analogamente a quanto avviene per il vino, è di grande interesse per un numero sempre maggiore di turisti che desiderano vivere e diversificare le loro vacanze esperienziali.

Oleoturismo ed enoturismo sono comparti concorrenti o complementari tra loro?
“Sono assolutamente complementari perché ampliano in maniera straordinaria quella che è l’offerta autentica di turismo esperienziale di declinazione rurale”.

Quali sono le motivazioni che hanno portato a regolamentare l’attività dell’oleoturismo?
“Le motivazioni sono state molteplici: da un lato assecondare immediatamente la richiesta che veniva da questi operatori che si era levata in modo unanime non appena era stata approvata la norma sull’enoturismo. Insieme ai complimenti, ricevevo infatti la richiesta di estendere anche all’olio quanto previsto con il vino. E poi, altra importante motivazione, è sicuramente la volontà di conferire una concreta opportunità a quanti coltivano ulivi e producono olio di poter raddoppiare in potenza quello che la natura concede una volta all’anno con il raccolto. L’oleoturismo, con le sue diverse attività, può essere considerato come un vero e proprio raccolto aggiuntivo ogni anno”.

Quali sono gli argomenti trattati nelle Wh- questions?
“Con le wh questions ho voluto sviscerare la materia dell’oleoturismo. Partendo proprio dalle classiche cinque domande che sono alla base dell’informazione e del giornalismo, ho voluto chiarire la materia, gli ambiti di applicazione, le caratteristiche di questo tipo di turismo e allo stesso tempo aggiornare su quali regioni hanno provveduto a fare propria la norma rendendo possibile questa forma di turismo”.

Pensare che l’economia della regione Puglia possa reggersi in gran parte sulle diverse forme di turismo è un’utopia?
“Più che utopia, sarebbe distopico immaginare un’economia regionale sorretta soltanto dalla fonte turistica. Ogni sistema economico per poter funzionare ha bisogno di quattro gambe, compresa l’industria. La sfida di questi anni è quella di immaginare un reale equilibrio tra i diversi settori, senza quindi che il peso maggiore di uno si traduca nella cannibalizzazione del territorio. Nel passato, anche in Puglia, purtroppo, è successo il contrario, come la vicenda ex Ilva di Taranto”.

Le indicazioni normative per olio ed enoturismo sono state recepite in Puglia o come si suol dire “non si è profeti in patria?”
“La norma sull’oleoturismo è stata da poco recepita mentre quella sul turismo del vino è stata un vero parto. Recepita con forte ritardo, inizialmente riportava elementi di avvitamento burocratico che finivano per scontentare tutti gli operatori del settore, tanto che il giorno stesso che veniva pubblicata in gazzetta, la Regione provvedeva a rassicurare dicendo che avrebbe avviato immediatamente un processo emendativo per correggere gli errori e le storture che quel testo riportava. In estrema sincerità, non è stata una prova molto performante ma, volendo guardare al bicchiere mezzo pieno, le due norme in Puglia sono finalmente recepite e questo consente agli operatori di attivarsi su asset di attività potenzialmente importanti”.

Recentemente si è conclusa la 55esima edizione del Vinitaly. Le attività finanziate si sono concentrate nel fuori salone e i comunicati ufficiali parlano di grandi successi. In realtà alcuni produttori hanno espresso anche malumori, la presenza di visitatori nello stand Puglia non è stata così numerosa come si dice. Il tacco dell’Italia ha perso appeal? Cosa si può fare secondo il suo punto di vista e nella doppia veste di uomo della politica e di produttore profondamente legato alla sua terra?
“Molti osservatori pensano che la Puglia del vino sia arrivata a questo importante appuntamento un po’ sottotono poiché sono anni che ormai non viene rinverdito il format che oggi può apparire un po’ stanco. A mio avviso, però, questo non vale solo per la Puglia perché occorre guardare agli appuntamenti di promozione con occhi puntati alle novità che il digitale ed i nuovi strumenti di comunicazione ci offrono ai fini di una formula maggiormente legata al tema dell’esperienza. Non sono pochi i produttori di caratura internazionale che, nemmeno a dirlo, scelgono già da diverso tempo altri modi di promuovere i loro prodotti. Penso, ad esempio, ad esperienze maggiormente immersive e soprattutto “tailor made” sulle esigenze specifiche di una determinata clientela. Se 10/15 anni fa i cooking show o le tradizionali degustazioni guidate erano una vera rivoluzione al Vinitaly, oggi non riesce più da solo a suscitare l’interesse necessario a conseguire il risultato di una fidelizzazione del potenziale cliente. Tanto più se queste attività non vengono profilate attraverso una rigorosa selezione dei partecipanti. In poche parole, non possiamo tornare a parlarci solo tra noi”.

I vini rosati rappresentano l’orgoglio identitario che merita di essere valorizzato. Si era detto che il Concorso nazionale Rosati d’Italia sarebbe tornato ma così non è stato? Cosa è successo?
“Non spetta a me motivare il perché è stato deciso di interrompere quella straordinaria esperienza a partire dal 2013. Credo che sia stato un grande errore e, come me, la pensano la stragrande maggioranza di operatori pugliesi, ma anche di giornalisti e stakeholder del settore. Ho provato in questi anni ad offrire qualche contributo o idea per riprendere il percorso ma, evidentemente, non sono riuscito ad essere convincente. È un errore e anche uno spreco alla luce del crescendo di attenzione e apprezzamento dei mercati a livello globale proprio per i vini rosati”.

Produttore di vino più per passione che per lavoro. Tacco Rosa è stato presentato alla stampa con una etichetta rivista, cosa rappresenta?
“L’etichetta ha avuto soltanto dei piccolissimi restyling, ma l’impianto è rimasto il medesimo dal momento che è una componente essenziale del vino. È uno tra i principali elementi di riconoscimento e quindi di presentazione del vino stesso. L’etichetta di Tacco Rosa, che è stata premiata da una giuria molto particolare guidata dal neuroscienziato Russo, è l’espressione della sinestesia di questo mio rosato di Negroamaro, che fa propria e recupera l’antica tradizione della lacrima. Si tratta del volto di una donna dai capelli ramati (un chiaro richiamo agli svevi che tanto hanno fatto la storia di questo territorio) e che, sognante, ad occhi chiusi, viene raggiunta da un vento che porta con sé foglie, fiori, petali di rose, frutti. Tutto quello che poi l’occhio, il naso e il palato ritroveranno sorseggiando Tacco Rosa”.

È in cantiere la produzione di un rosato da metodo classico. Ci racconti?
“Sì, è in cantiere la produzione di un Tacco Rosa metodo classico. È un progetto sul quale intendo impegnarmi nei prossimi mesi e che ho condiviso con il mio amico ed enologo, Riccardo Cotarella, e che vorrebbe raccontare la tradizione di quel vitigno anche nella chiave molto apprezzata delle bollicine. Il 2024 potrebbe essere l’anno della sua uscita”.

L’attività di scrittore la vede impegnato in nuovi progetti?
“A fine giugno uscirà il nuovo volume dell’osservatorio sull’enoturismo, scritto insieme a Donne Del Vino, Città Del Vino, Movimento Turismo Del Vino e con una indagine statistica molto interessante condotta da Nomisma Wine Monitor. Sono state intervistate circa 300 cantine in tutta Italia e i dati raccolti sono molto interessanti perché utili e preziosi per andare a migliorare quella che è una proposta turistica veramente work in progress e che si alimenta di questi elementi conoscitivi necessari per la promozione di politiche attive ad hoc soprattutto da parte delle Regioni”.

Da grande cosa vorrebbe fare?
“Ho la fortuna di essere già impegnato in una professione che amo, quella manageriale, e e nella docenza universitaria in prestigiosi Atenei che mi dà la soddisfazione di continuare l’impegno in favore del sistema enogastronomico e del turismo esperienziale. Sono ancora lontano dalla pensione e quindi aperto a tutto quello che questi temi renderanno necessario approcciare, in termini di impegni e di sfide”.

Ha mai pensato di produrre olio?
“Per il momento condivido, con un cugino del cuore, un piccolo appezzamento di oliveto che però ha avuto la disgrazia di essere colpito dalla Xylella. Al momento, quindi, tutto il nostro impegno è indirizzato a dare nuova vita a questo pezzo di terreno famigliare con tutte le difficoltà che questa fase di rinascita sta facendo emergere”.

Le misure di contrasto alla Xylella hanno fatto la differenza a oggi? La bellezza del patrimonio paesaggistico è compromessa?
“La Xylella, purtroppo, non ha trovato un fronte di contrasto unitario e compatto. L’atteggiamento ondivago di pezzi importanti della politica regionale così come la girandola di ministri dell’agricoltura che si sono susseguiti ha pesato gravemente sull’efficacia e l’efficienza delle misure adottate. Dopo dieci anni, ci resta ancora troppo da fare. Temo che, con questi ritmi, il patrimonio paesaggistico penerà ancora un bel po’ per tornare allo splendore che abbiamo conosciuto”.