Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
La degustazione

A Piana degli Albanesi quella scommessa che misura poco più di un ettaro

20 Agosto 2013
bennici bennici


Alessandro Bennici e Francesco Di Giovanni

Le sorprese non finiscono mai, nel senso più positivo del termine.

Questa che vi raccontiamo porta il nome di Alessandro Bennici, che nella vita fa il medico dentista con gli scarponi però sempre pronti per andare in vigna, e del suo piccolo grande sogno. Questo misura poco più di un ettaro. Si trova incastonato in un anfiteatro naturale a quota 750 metri, a ridosso di una corona di vette, che lo protegge a nord dalla tramontana e dalle gelate, ed esposto a sud, pendente verso uno scenario boschivo che si apre sui tetti a tegola e sul lago di Piana degli Albanesi, a pochi chilometri a sud est di Palermo.

Mentre a poca distanza si è già nel pieno della vendemmia, nel piccolo fazzoletto (con duemila piante) i grappoli ancora non hanno finito la maturazione, perché qui regna un clima continentale, da estremo settentrione, altra faccia non meno affascinante della Sicilia assolata e mediterranea. Alessandro fa e si occupa di tutto, cura ogni dettaglio, dall’innesto alla raccolta fino alla tappatura. In vigna si reca ogni giorno, anche quando la colonnina scende abbondantemente sotto lo zero e la neve ammanta tutto. Poi completa il resto nella sua piccola cantina, una stanza con le volte a crociera ricavata in un palazzo che ha origine cinquecentesca, si trova in quella che nel '700 era la zona industriale di Piana.

Alessandro è il piccolo viticoltore per eccellenza. Il vino ha sempre fatto parte della sua vita e della sua famiglia. Vinifica dal 1998. Tra i pochissimi rimasti a portare avanti una tradizione che da quelle parti per tanto tempo ciascuno ha praticato in casa e adesso è praticamente estinta. Solo da qualche anno, dal 2007, ha deciso di  apporre un’etichetta, con il nome di Xeravuli, e di tentare il passo verso il mercato horeca, che però è rimasto fino ad ora solo di ridotte dimensioni. Il termine è albanese – Alessandro è di etnia arbëreshë – un nome antico di derivazione greca. Come ci ha spiegato, indica la zona dove si trova il vigneto. Il significato racchiude il potere espressivo di questa parte di territorio dove hanno messo radici le sue viti, e si riferisce alla tipologia del suolo, che è secco, tipico dell’alta montagna. La scommessa è tutta racchiusa in queste 8 lettere: dimostrare al calice una diversità, conosciuta a pochi, che appartiene a tali latitudini, uno spirito che alza verso l'alto l’asticella della freschezza e dell’eleganza. Il suo modo di operare è quello del minimo intervento. Usa solo zolfo, non irriga, pratica l’inerbimento, ma non vuole essere etichettato come produttore che fa naturale.

Nello scenario produttivo siciliano e nazionale, questo scorcio merita attenzione. C’è in campo una dedizione appassionata e umile, nessuna volontà di cavalcare l’onda del “vigneron a tutti costi”. Infatti, Alessandro opera in sordina, non cerca riconoscimenti, rimane sempre concentrato su quanto e di meglio può trarre dal suo vigneto, cercando di perfezionare e aggiustare il tiro, tra i filari come in cantina. Lo abbiamo stanato noi nel suo paese un pomeriggio, volendo confrontarci con questa micro realtà. Insieme a lui e a sua moglie, che fa l'architetto e lo accompagna nell'avventura, abbiamo assaggiato gran parte della sua produzione e messo a confronto diverse annate. Le  varietà che coltiva: Cabernet Sauvignon, in prevalenza; Merlot; Nero d’Avola, e qualche vite di Chardonnay. In condizioni pedoclimatiche da vini bianchi la scelta è stata principalmente rossista, un percorso più tortuoso, ricco di incognite e, proprio per questo, emozionante. Va riconosciuta poi una nota di merito al piccolo produttore: l'avere scommesso su un giovanissimo enologo, Francesco Di Giovanni, 27 anni, appena tornato dalla Nuova Zelanda dove si è recato per fare pratica subito dopo la laurea in enologia. Seguirà la cantina dalla vendemmia 2013. Figlio d'arte. Il papà Matteo ha lavorato nell'area ricerca e sperimentale dell'Istituto della Vite e del Vino affiancando anche Tachis negli anni del risorgimento del vigneto Sicilia. 

Lo Chardonnay 2012 ha tutte le caratteristiche di un vino d’altura. Freschezza, acidità spiccata, una veste balsamica e silvestre che prevale sul bouquet tipico del vitigno. E’ un vino sapido e molto minerale. Corposo e strutturato. Si lascia bere con piacere. Lascia l’aromaticità del muschio e della frutta bianca.  

Il Merlot 2009 fa barrique di rovere e acciaio. 13,5 di alcol. Bello al colore, con riflessi porpora violacei. Ingresso setoso. Estrema finezza al naso. Spezie, aromi evoluti, e ancora sprazzi vividi di frutta rossa, il tutto si amalgama con grande equilibrio. Morbido. Rotondo e leggero. Di grande eleganza. Persistente, lascia la bocca piacevolmente pulita. Lo abbiamo confrontato con il  2012. Questo ha bisogno di tempo. Rivela già un’espressività diversa, vira ad una speziatura più accentuata. Ma il 2009, dimostra una verve da fuori classe spiegata da un’annata che in quella zona è stata fresca e non torrida.

Morea è un blend di Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon e Merlot, in proporzione 65%, 25% e 10%. 13,5 di alcol. E’ l’anagramma di Amore, ma il termine deriva da un lamento, una nenia che gli arbëreshë, tutt’ora cantano, e con la quale evocano la patria e il ritorno. Il Cabernet dà corpo e la nota silvestre, che sembra comunque essere il minimo comun denominatore, insieme alla finezza, di tutti i vini assaggiati. Al palato è setoso con note di ciliegia matura. 

Xeravuli è un Nero d’Avola in purezza. Il 2007 è il vino del debutto. La prima annata con cui Alessandro ha inaugurato il nuovo percorso nel mercato. Estremamente fine. Elegantissimo. Cristallino. Non ha mai fatto filtrazione. Grande bevibilità. Tannini gentili e con un bel corpo. Spiccano note evolute,  di castagna. Il 2010 è in transizione. Ribelle e disperato, ma ammalia. Non pronto, però è una sorpresa. Incuriosisce. Dimostra potenzialità da grande vino.

Il Cabernet Sauvignon 2011, 14,50 di alcol, è un vino di grande equilibrio al naso. Corposo, forse ha bisogno ancora di un po’ di affinamento. Il 2008 invece è suadente e raffinato. Ha 3.300 di polifenoli. Piacevole da sorseggiare. Frutta matura e punte di pepe nero,  di muschio. Emergono anche note floreali.

Ultima chicca di questa degustazione è il primo vino in assoluto prodotto con il nome Xeravuli. Un blend 60% Merlot e 40% Cabernet Sauvignon annata 2007. Colore impenetrabile. Materico. Corposo e fresco. Prevale sempre la nota di bosco. Ingresso setoso. Vivace. Equilibrato. Può ancora evolvere. Da riassaggiare tra tre anni. 

Manuela Laiacona


Xeravuli
Via Morea, 40
90037 Piana degli Albanesi – PA
www.xeravuli.com