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La degustazione

La sfida al tempo che passa del Fiano di Avellino: nel calice anche la 1989

07 Agosto 2023
Il tavolo della degustazione Il tavolo della degustazione

“Festina lente” (affrettati lentamente, trad.) il motto dell’Imperatore Augusto che portò a rendere epiche le sorti del suo impero romano. E se festina lente diventasse anche il motto del Fiano di Avellino Docg? Attraverso quel lento, ma costante passo senza indugi verso il successo della denominazione? La conferma arriva durante le giornate dedicate alla dodicesima edizione del Fiano Love Fest, la kermesse che, arrivata alla sua dodicesima edizione, vede, appunto, come protagonista il più famoso dei vitigni campani. Così durante il “tasting impossible: la mia prima volta” – condotta dal giornalista Luciano Pignataro e dal presidente dell’Ais Campania Tommaso Luongo – il Fiano di Avellino è, infatti, andato in scena senza vestirsi di nuovo, ma di vecchio: e in un percorso a ritroso, che dalla 2018 ha sfidato il tempo con una bottiglia datata 1989, ne è venuta fuori la sua innata capacità di trasvestirsi da Benjamin Button.

Non una capacità così scontata se a ben vedere non è sempre stata universalmente riconosciuta neppure dagli stessi vignaioli irpini, bastando pensare che manca anche nelle cantine degli stessi un loro personale archivio storico di annate passate. C’è voluto, infatti, un mind shift culturale, che non appartiene solo alla Campania, ma all’Italia tutta e che servisse a favorire l’idea di conservare, di dimenticare in cantina. Il concetto di vecchio doveva essere sostituto a quello di longevo, ma per farlo c’era bisogno di sperimentarlo e capirlo sul campo perché quella capacità – che solo un lento, pigro, ma costante riposo in bottiglia sa creare, restituendo al vino forme e sostanze nuove – non può essere un concetto generalizzato né poi applicabile a tutte le terre e a tutti i vitigni. Eppure una volta capito che l’areale irpino era terreno fertile per impiantare non solo Fiano, ma anche evoluzione, la grandezza del vitigno non ha stentato a mostrarsi. E così oggi a quella struttura e tessitura acido-sapida che da sempre caratterizzano il suo assaggio va di pari passo anche la longevità, l’unica in grado di implementare un profilo aromatico di grande fascino.

Da un ventennio a questa parte la lungimiranza allora non è più solo “un caso” fortuito in Irpinia, e la vera sfida del vignaiolo è proprio quella di non subire più il tempo, ma di saperlo gestire e interpretare: lo si aspetta e lo si modella in vigna tanto in cantina, con progetti in grado di sfidarlo, attraverso stili e scelte produttive ponderate per interpretare andamenti climatici e annate. Allora arrivati a questo punto sembrerebbe mancare davvero solo l’ultimo tassello per consacrare definitivamente la denominazione. Perché se dici Fiano di Avellino chiedi almeno se è di Lapio, di Summonte, di Montefredane o di Salza Irpina. Macro aree di elezione nelle quali il Fiano di Avellino trova espressioni e sfumature diverse e peculiari. Ma questa, però, è una profilazione solo per “sentito dire” della quale non c’è alcuna traccia in quel disciplinare di produzione che quest’anno – arrivato al suo ventesimo compleanno – forse inizia a scalpitare tra maglie così generalizzate delle sue zone di produzione.
“Il Fiano è la denominazione campana per la quale puntare alla zonazione”, osserva il presidente dell’Ais Campania. E concedendoci così di immaginare che i singoli areali irpini nulla avrebbero di meno o in più ai blasonati cru borgognoni.

I VINI DEGUSTATI E ALCUNE NOTE

2018 – Laura de Vito
Dal caramello salato alla frutta a polpa gialla. Il corredo olfattivo è pieno e luminoso quanto il suo palato, dotato di una materia mai scontata grazie ad una buona componente di acidità che cede spazio solo sul finale a una appagante sensazione salina.

2016 – Angelo Silano
I ricordi di frutta candita stanno a braccetto con quelli di erbe aromatiche e di lievi accenni balsamici. Il sorso riempie il palato imponendosi d’imperio sulle morbidezze senza mancare di una verve concessa, soprattutto in retronaso, da note piccanti di zenzero e limone.

2012 – Joaquin
Sbuffi di torba e di pietra focaia per un olfatto unito da venature salmastre e da sentori di albicocca. La scorrevolezza nel palato si concede, poi, in una chiosa fine e piacevole nel finale.

2011 – Tenuta Scuotto
Iodato e vegetale in un sorso slanciato e lineare dalla buona persistenza sul finale.

2010 – Rocca del Principe
Era il 2004 quando Achille Zarella fonda a Lapio, in contrada Arianiello, la sua azienda. Al suo sesto imbottigliamento ne viene fuori un vino sartoriale dove la fattezza qualitativa sta in un naso accennato di fiori bianchi e anice. Fine ed elegante, quanto il sorso connotato da un andirivieni di sensazioni in un equilibrio sopraffine tra morbidezze e durezze. Tonicità e impeto. Standing Ovation

2008 – Filadoro
Millefiori e cera invitano a un vino da fine pasto che al palato perde forza concedendosi a rimandi balsamici in retronaso.

2008 – Terredora Di Paolo
Naso alpino, ricco di note vegetali ed erbacee in un sorso di spessore, dotato, forse, di un eccessivo corpo e caratterizzato da una chiusura lunga e ammandorlata.

2007 – Colli di Lapio
Ad Arianiello la signora del Fiano, Clelia Romano, regala un calice magistrale tra radici di liquirizia, resina e note balsamiche dove acidità e gioia gustativa gli sottraggono almeno dieci anni dalla sua carta di identità. Standing Ovation

1989 – Romano
Il primo imbottigliamento di Fiano a Lapio, datato 1988, appartiene a questa famiglia. E nella sua seconda volta mostra le evoluzioni di chi supera ampliamente un trentennio e si concede alla meditazione. Quella stessa forma di riflessione sulle notevoli potenzialità del Fiano di Avellino e della sua necessità di essere maggiormente valorizzato. Zona per zona. Non saremo in Borgogna, infatti, sì siamo in Irpinia. Quanto c’è di meglio.