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La degustazione

Scaloppina, agrume e birra: il triangolo… sì

23 Maggio 2021

di Simone Cantoni

In un articolo di qualche tempo fa ci siamo divertiti a scoprire “l’effetto che facesse” (per dirla con l’immortale Jannacci) l’abbinamento che vedeva, fianco a fianco, una birra – segnatamente la “Say When”, American firmata dal Birrificio Lambrate (Milano) e dal BrewDog Bar Firenze – e un profumato risotto agli agrumi

(leggi questo articolo>). Ebbene, dato che l’effetto di cui sopra si era rivelato piuttosto interessante sotto il profilo concettuale, oltre che gradevole al palato, abbiamo deciso di proseguire l’esplorazione di quel “filone d’indagine”: di organizzare, dopo quella “prima puntata” costruita attorno al tema “agrumi nel piatto e luppoli (agrumati) nel bicchiere”, un secondo test strutturato sulla logica delle medesime regole d’ingaggio. Un test come protagonista del quale si è scelta una preparazione ormai solidamente posizionata nei registri gastronomici nazionali: le scaloppine all’arancia.

UNA RICETTA ELASTICA
Ecco, più che una ricetta in sé, quella che poniamo sotto i riflettori nella circostanza odierna rappresenta la declinazione (una tra le diverse possibili) di una “formula” più generale. Una formula che prevede di approntare un “fondo” a base di agrumi: arance, appunto; ma anche limone (probabilmente il primo in ordine di tempo a essere utilizzato in questa chiave); oppure clementine o pompelmo, se non un misto. Per poi proseguire applicando questa base come condimento a carni abbastanza delicate da essere, rispetto ad esso, adeguatamente “ricettive”: bianche (tacchino, pollo, coniglio…); o rosse ma di esemplare giovane (vitello); oppure di suino. Il protocollo d’esecuzione stabilisce quindi le seguenti tappe: ammorbidire le scaloppine (qui di pollo) con un batticarne; panarle in farina (di riso, volendo evitare il glutine); cuocerle velocemente (sei minuti o sette) in padella con un ricciolo di burro (una buona margarina andrà benissimo, se si tratta di scansare il lattosio), nonché aggiungendo sale e pepe (qui in dosi dietetiche, per non entrare in urto con l’amaricatura delle birre in assaggio); irrorare via via il tutto con il succo d’agrume (arancia, nella fattispecie); e infine servire il tutto in tavola, con una grattugiata di scorza. Al banco di prova, in questo caso, quattro tipologie brassicole diverse, ma tutte caratterizzate da una più o meno incisiva dominante luppolata.

ROUND UNO: LA GOLDEN ALE
Color paglierino e schiuma bianca, brassata anche con locale farro della Garfagnana, la “Giusta” di casa Petrognola (Piazza al Serchio, Lucca) fa valere doti atletiche. La sua bollicina viva va facilmente a segno con le modeste armature lipidiche del boccone; la sua corporatura leggera fatica un poco contro la trama proteica della carne; la sua amaricatura non straripante nel contatore (37 le IBU, international bitterness unit), ma nitida nella percezione (a fronte proprio della magrezza nella sorsata: l’alcol è inchiodato al 5.3%), trova una minima frizione contro il pur dosato mix acido-sapido del morso. Al netto di queste piccole asimmetrie, è piacevole l’allineamento tra gli aromi del piatto e quelli (di timbro esso stesso agrumato) della pinta: che raccontano – in virtù di una luppolatura da Saaz (Boemia), Herkules (Germania) e Columbus (Usa) – storie floreali, in cui a “parlare” sono, ad esempio, il tiglio e il caprigfoglio.

ROUND DUE: LA AMERICAN IPA
Si sale di tenore alcolico (6.2%) e di temperatura cromatica, con un ambrato che reca in dote note (anche gustativo-palatali) di caramello e biscotto. Queste alcuni “segni particolari” nella carta d’identità con cui viaggia la “J-IPA” firmata J63 (Cenaia, Pisa): una India Pale Ale in salsa nuovomondista – la si “tira su” a gettate di Cascade (Usa), Ella e Galaxy (Australia) – dotata appunto di rotondità gustative che rendono assai poco spigolosa, al palato, un’amaricatura il cui valore, al “manometro”, sarebbe 45 IBU. Risultato: il corpo a corpo con il boccone si rivela più bilanciato; l’affondo “bitter” della birra sembra inizialmente stridere contro le affilatezze sapido-acide del pollo, ma l’effetto placante delle già citate componenti morbide della sorsata (gradazione e caramellature) provvede, in un secondo o due, ad armonizzare la musica; la quale poi, dopo la deglutizione, vede stringersi in un abbraccio distensivo le olfattività “da scorza rossa” comuni al patto e alla pinta.

ROUND TRE: LA NEW ENGLAND IPA
Ancor meglio il “balletto” con la terza birra in batteria: la “Be Happy Amber Edition” targata Opperbacco (Notaresco, Teramo): una Neipa (New England Ipa) in veste ambrata, non così consueta per la categoria, nella cui economia sensoriale complessiva le parti calde e leviganti (i 7.5 gradi alcolici, le proteine dei semi non maltati di frumento e avena; una piccola quantità di zuccheri non fermentabili) abbattono sorprendentemente la percezione delle 70 IBU teoriche. Di più: le medesime “torniture” di cui si è appena detto lisciano “per il verso del pelo” anche le punte acidule e sapide della scaloppina; insomma: un effetto attenuativo esercitato stereofonicamente, che crea i presupposti per un abbinamento davvero piacevole. Anche perché se la birra propone, a tratti, qualche esuberanza termica di origine etilica, trova un lenitivo nelle frazioni grasse del piatto; e una volta eseguite tutte queste compensazioni materiali, si va all’eufonia delle direzioni olfattive: con le dominanti del boccone che si rispecchiano in quelle della pinta, ascrivibili ai luppoli (gli statunitensi Citra e HBC 472) contenuti nel suo Dna procedurale.

ROUND QUATTRO: LA DOUBLE IPA
“Sempre più in alto”, sorrideva Mike Bongiorno, nello spot di una famosa grappa che impazzava in tv durante gli anni Settanta e Ottanta. Così, si chiude a quota 8 gradi e 2: quelli della “Cut”, tambureggiante Double Ipa (in versione Triple Dry Hopping) edita sotto le insegne della Smash Brewing Co, progetto modernista (e ramo d’azienda) facente capo al marchio artigianale lombardo Manerba Brewery (appunto a Manerba del Garda, Brescia). Qui, nella birra, la scelta è di attenuare quanto più possibile la corporeità onde agevolare la fruizione; così le IBU (65 alla rilevazione numerica) si avvertono in misura superiore rispetto alle 70 della bevuta precedente. Di conseguenza, questo più perentorio pronunciamento amaricante torna a produrre sfregamenti contro la venatura sapido-acidula della scaloppina; salvo poi muovere un passo indietro sotto la “voce grossa” della propria stessa taglia etilica, decisamente muscolare. E assai preciso, vien da dire millimetrico, è il gioco delle corrispondenze odorose post-deglutizione tra piatto e bicchiere: con i luppoli del secondo (Sabro, Citra, Cascade) che piegano verso una scorza d’arancia “cucita a misura” sulle direzioni aromatiche del boccone…

BIRRIFICIO LA PETROGNOLA
Località Tato Colognola – Piazza al Serchio (Lucca))
T. 0583-60355; 389-4649880
info@lapetrognola.com
www.lapetrognola.com

BIRRIFICIO J63
Via Livornese 63 – Cenaia, Crespina Lorenzana (Pisa)
T. 050-643739
info@j63.it
www.j63.it

BIRRIFICIO OPPERBACCO
Via Casarino, 19 – Notaresco (Teramo)
T. 085-2039790
info@opperbacco.it
www.opperbacco.it

SMASH BREWING COMPANY
Via Trevisago,19 – Manerba d/Garda (Brescia)
T. 0365-550847
info@manerbabrewery.it
www.manerbabrewery.it