“Terra di Sicilia bellissima, essere qui è un momento di gioia e soddisfazione enorme. Quando ho saputo che questo riconoscimento andava in una direzione filosofica, la cosa mi ha molto incuriosito. L’elemento che mi preme condividere è proprio collegato a questo momento particolare della nostra storia e del nostro percorso di vita. Se penso a quando è nato prima Slow Food e poi Terra Madre, e a quando nel 2004 abbiamo fondato la prima e unica università al mondo completamente dedicata alle scienze gastronomiche, non avevo idea che tutto questo si sarebbe sviluppato in questo modo. L’altra settimana, da Harvard sono venuti a studiare il sistema Pollenzo. Ho visto quanta curiosità ci fosse verso questo elemento multidisciplinare della nostra natura.Quando sono nati questi tre movimenti, c’era l’elemento fondante della multidisciplinarità, perché l’accademia era troppo abituata ai compartimenti stagni. Ma la gastronomia, per sua natura, non lo è. Brillat-Savarin, nella Fisiologia del gusto, dice che la gastronomia è tutto ciò che ci riguarda in quanto ci nutriamo. E io ho ripreso i suoi spunti: la gastronomia è ecologia, è fisiologia del gusto, è cultura, è antropologia, è tutto. Lui scrisse nel tardo autunno del 1825 questo testo, ma non lo firmò e in poche settimane andò a ruba. Morì nel 1826, senza il piacere di sapere che quel libro sarebbe diventato il secondo più venduto dopo la Bibbia. Diceva: “Vedrete che la gastronomia avrà un ruolo, e un giorno si studierà anche negli atenei”.

E così è stato.

Il termine gastronomia è relativamente giovane, ma passo dopo passo ha accolto in sé una visione multidisciplinare che include anche la biodiversità. Non si può parlare di cibo solo in relazione alle vivande o alle ricette – e men che meno ridurlo a mero consumo. Questa non è gastronomia. È solo una parte.

La gastronomia è produzione del cibo, è agricoltura, è agronomia, è tecnologia alimentare. E poi è valore umanistico: non puoi dire che ciò che mangiamo non abbia lasciato segni nei territori. Dunque è anche antropologia, è scienze umane. Poter affrontare in modo olistico questo argomento è fondamentale. E oggi questo concetto sta passando.

Un tempo non era così. Chi parlava di cibo all’università erano agronomi, medici, tecnologici alimentari… ma la connessione tra tutti questi ambiti non era riconosciuta.
Quando abbiamo iniziato questo percorso, lo Stato non ci riconosceva nemmeno la dignità di una classe di laurea. Ai nostri ragazzi rilasciavamo un diploma in agraria.

Poi, ben 17 università hanno aperto corsi in scienze gastronomiche. Abbiamo portato avanti un bel percorso. Qualcuno dice: “Ma poi ti hanno portato via le idee…”
E io rispondo: siate felici se qualcuno porta avanti una vostra idea. È iniziato un processo nuovo.

Il primo fronte è la presa d’atto che la perdita di biodiversità non è mai stata così consistente. Negli ultimi 125 anni si è perso il 70% della biodiversità alimentare: migliaia di varietà di api, razze, piante scomparse. Le comunità hanno abbandonato le specie meno produttive, ignare che la nostra sopravvivenza dipende da quella biodiversità.

Se di una specie non c’è alternativa, è un problema serio. Lo hanno imparato bene gli irlandesi quando, nella seconda metà dell’Ottocento, morì l’unica specie di patata coltivata in tutta l’Irlanda. Eppure, in Perù esistevano oltre 5.000 varietà di patate. Oggi la biodiversità delle patate è ridotta a meno di 2.000 specie alimentari.

Questa è un’eredità durissima che consegniamo alle nuove generazioni. Ridurre l’approccio gastronomico a un insieme di ricette, senza coscienza di tutto questo, è una mancanza morale.
Ecco perché abbiamo creato l’Arca del Gusto: ci vuole orgoglio e coscienza per sapere che la biodiversità fa parte della nostra identità.

Slow Food, è anche il movimento internazionale del diritto al piacere. Un giorno a Santa Marta, Papa Francesco, mi disse: “Il piacere è un diritto. È una forma identitaria, come la spiritualità, come la conoscenza.” E aggiunse ringrazio il Signore per aver regalato il piacere agli uomini nelle due cose che assicurano la continuità della specie: mangiare e fare l’amore.”Quel giorno mi chiese se potevo scrivere l’introduzione all’enciclica Laudato si’. Ne fui onorato ma gli chiesi: “Santo Padre, Lei lo sa che sono agnostico?”  E lui rispose: “Sei un agnostico pigro, perchè hai compassione della natura.”

Non è stata capita bene l’enciclica Laudato si’. Né dai credenti né dai non credenti. Non avevano capito la sua centralità sociale, politica e spirituale. Era il segno dei tempi, per realizzare pienamente la Fratelli tutti, che il Santo Padre scriverà dopo e dove affermerà che senza fraternità, non esiste né uguaglianza né libertà.

Coniugare questi pensieri con il piacere e la condivisione: questo è il percorso del nostro movimento. Un percorso importante, in un momento storico particolare.

Siamo davanti a una scelta: prendere atto che il sistema alimentare è il primo responsabile del collasso ecologico. Il 37% delle cause degli squilibri climatici viene proprio dal sistema alimentare. Molto più dei trasporti. Anche i nostri agricoltori, da un lato sono responsabili, dall’altro ne pagano le conseguenze. Il cambiamento delle colture nei nostri territori sembra naturale, ma spesso è l’effetto dell’abbandono. Dove si lascia una cultura, ne arriva un’altra.

E quando parliamo di migrazioni, parliamo di gastronomia. Questa umanità disperata che accetta di morire nel Mediterraneo… lo fa perché non ha alternative.
E noi dovremmo saperlo, noi italiani, che siamo stati migranti. Se i meridionali non fossero arrivati nel nord Italia, tutta l’economia del nord non esisterebbe.

Questa non è una questione separata dal cibo. Come dice la Laudato si’tutto è connesso.

Un altro punto allarmante è la demografia.
Nell’anno Mille eravamo circa 130 milioni. Nel 1500 arriviamo a 280 milioni. Nel 1800 a un miliardo. Nel 1949, anno della mia nascita, eravamo 2,3 miliardi. Oggi siamo 8 miliardi.
Solo 75 anni per quadruplicarci. E oggi, persino in Piemonte abbiamo problemi di acqua. Le risorse non sono infinite. E tutto questo ha a che fare con la gastronomia.

Siamo arrivati a un bivio: dobbiamo adottare comportamenti nuovi, sia collettivi che individuali. Io lo chiamo un nuovo umanesimo, da vivere con determinazione e con gioia.

È un processo di liberazione dal consumismo, dal capitalismo aggressivo, dall’accumulare. Con padre Francesco abbiamo parlato di economia di sussistenza, non di accumulo. Una sussistenza decorosa, che permetta di mandare i figli a scuola, di vivere dignitosamente. È questo che dobbiamo interiorizzare.

È un movimento di liberazione, che ci dia l’opportunità di condividere le cose belle con le persone che amiamo. Non possiamo continuare a guardare solo alla quantità, solo al PIL.
Dobbiamo chiederci come si allarga o si restringe la forbice tra chi ha tutto e chi non ha nulla.

Ma dobbiamo farlo con gioia, con felicità. Agli ambientalisti dico: diventate gastronomi, vi farà bene. Un ambientalista che non è gastronomico è triste.

Con questa chiave di lettura entriamo in sintonia anche con i giovani. E dico sempre: superiamo quel vecchio detto: “Se i giovani sapessero e i vecchi potessero…” Oggi i vecchi devono sapere. Perché noi siamo analfabeti sulle nuove forme di comunicazione. E i giovani devono poter fare. Devono avere il diritto all’errore. Devono avere la possibilità di essere protagonisti.

Io immagino un mondo dove noi anziani facciamo un passo a fianco ai giovani, non un passo indietro. Questa è l’intergenerazionalità. È uno scambio onesto. Serve coraggio. Anche per sbagliare. I giovani devono avere il diritto di sbagliare.

Di cosa ho parlato? Ho parlato di gastronomia. Perché da che mondo è mondo, i più fortunati si siedono quattro volte al giorno a tavola. I meno fortunati no.

Siamo 8 miliardi, e la sofferenza è aumentata. Se abbiamo coscienza che il cambiamento può avvenire, allora dobbiamo sostenere questo processo a tutti i costi. Dobbiamo condividere.

Anche se gli obiettivi di Parigi (dicembre 2015) non sono stati raggiunti, anche se non riusciremo a restare sotto i 2 gradi di aumento della temperatura, dobbiamo costruire alleanze. La gastronomia ha questo compito: interagirecapire la biodiversità.

Non dobbiamo avere una visione eurocentrica. 2.400 anni fa, in Cina, avevano già codificato le otto cucine regionali, più la cucina imperiale. Il rispetto della diversità come valore aggiunto, in ogni sua forma, come strumento per trasmettere conoscenza.

Quando mi chiedono: “Quando ha iniziato aveva coscienza di quello che sarebbe successo?” No, non avevo idea ma sapevo che due sarebbero stati i pilastri che avrebbero determinato questa realtà. L’intelligenza affettiva, l’intelligenza del cuore e il concetto di austera anarchia”.