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Scenari

Come in un kolossal: l’arte di catturare i pesci spada nello Stretto a bordo delle feluche

24 Giugno 2021

di Marcella Ruggeri

E’ un rito che si ripete con il pathos di una scena di un colossal che non ti snerva mai e ti culla sulle onde: anzi lo vuoi rivedere, nonostante si giri per quattro mesi di fila.

La cattura del pesce spada è stagionale e, in questa missione delicata “a cronometro”, i pescatori devono ottimizzare l’operato uscendo in barca tutti i giorni e per 12 ore ininterrotte. Più che una cattura è una ricerca ed è questo l’aspetto più accattivante che spinge a stringere una vera e propria relazione tra il team di pescatori e la specie cosmopolita dei mari temperati. Gli equipaggi delle cosiddette feluche dello Stretto di Messina sono tutti prenotati e assoldati, già da due mesi, per effettuare i loro tragitti elettivi e “tallonare” i pesci spada che passano rapidamente in queste acque. Questo succede perché le creature dalla carne bianco-rosata non amano l’acqua troppo calda. A riunire i presidenti delle società armatoriali di queste imbarcazioni è l’Associazione Pescatori Feluche dello Stretto (presieduta da Antonella Donato) che include anche gli uomini dello staff di bordo. A Messina su dieci feluche presenti, otto sono iscritte più due di Scilla quindi in tutto dieci dell’Area dello Stretto. A Villa San Giovanni, c’era un’altra imponente marineria che è stata assottigliata. Gli equipaggi possono variare di stagione in stagione, ma gli armatori si gestiscono tra congiunti (sotto il profilo societario) per non spezzare la tradizione. Da metà maggio a fine giugno, le barche messinesi lavorano di più nella fascia calabra, non stanno dunque costantemente nello Stretto, non si risparmiano per quella mezza giornata di fatiche sul mare e sono stremati. Viceversa tra luglio e agosto, sono i mezzi specifici calabresi a trasferirsi nella porzione peloritana per beccare il transito del pesce. Quest’ultimo, quasi per istinto, percorre con determinati cicli di vita lo Stretto ed è stato appurato da parecchi studi. L’Associazione collabora con tanti biologi marini ed enti di ricerca che hanno bisogno delle feluche per analizzare il comportamento del pesce spada, per poterlo seguire, per capire che zone batte e quando, come si muove, come si nutre e si riproduce: tutti parametri di conoscenza che richiedono la marcatura, applicata “con una tecnica fantastica – descrive la presidente Donato –. Gli arpionatori delle feluche che sono diventati abilissimi nella procedura e riescono, misurando la loro forza, a non ferire il pesce e a lasciargli una marca attaccata, una capsula di 20 centimetri quasi ad ovetto, molto affusolata con un piccolo gancio. L’arpione non viene armato con i soliti ferri per mantenere illeso il pesce e funziona lanciando l’asta che viene ritirata, dopo l’inserimento della capsula sulla pelle dell’animale”. Il pesce marcato non verrà mai preso appunto per motivi di studio, se si può evitare. Di solito viene mangiato dagli squali. I biologi restituiscono il loro feedback, i dati per una maggiore esperienza di quello che i pescatori possono offrire. Antonella, con la sorella Giusy, può organizzare un tour in feluca, con l’appoggio dell’Associazione che coordina e della propria società “Pescaturismo I Mancuso” (per info, 349 5309904).

Ma come si cattura il pesce spada? Il metodo è identico a quello con la feluca fissa. Quando il nonno materno di Antonella era ragazzino, c’era la feluca fissa che ha vissuto una serie di evoluzioni. L’attuale imbarcazione grande era un po’ più piccola e veniva ancorata al centro della posta, era immobile. Quelli che si muovevano intorno erano i “luntri” verso gli anni ’20. Intanto, non parliamo di una specie stanziale perché passa dallo Stretto quatto volte l’anno. Anticamente, con la definizione “pesce spada dello Stretto”, non ci si riferiva alla sua provenienza ma al fatto che, in questa area marittima e con un clima mite, il pesce viene acchiappato risalendo in superficie, malgrado scelga il fondale come suo habitat e si orienti verso le Isole Eolie per deporre le uova. “Noi riusciamo a pescarlo nel periodo primaverile ed estivo – argomenta Antonella – perché i requisiti sono: una certa stabilità del mare, una certa capacità di visibilità consentita solo in questo periodo per fruire di una luce naturale perché l’avvistamento avviene ad occhio nudo e nella chiarezza dello specchio del mare”. Da maggio a settembre, l’illuminazione è perfetta con un periodo favorevole riconosciuto persino dal popolo greco che capì per primo che questo tipo di pesca si può realizzare a vista, il che è “un’immensa rarità” dello Stretto di Messina. I Greci si resero conto che arrampicandosi sull’albero della vela potessero scorgere il pesce. La struttura della loro barca aveva un palo di prolungamento della prua in legno, dove si allacciava la vela che permetteva di arpionare un certo “bottino” in mare. Con l’ausilio del motore, la mansione della feluca è stata accelerata. Proseguire con i remi sarebbe stato impossibile ma la base architettonica di oggi è quella a vela di cultura ellenica.

Le barche greche sono l’origine delle feluche quindi attribuire ai “Ganzirroti” piuttosto che ai “Faroti” la nascita di questo tipo di pesca con questo tipo di mezzo non è corretto. Gli armatori ad oggi sono tutti di Ganzirri, ce n’è solo uno che è in società con un collega che vive a Torre Faro ma è nativo di Ganzirri. A Messina nel settore pesca e acquacoltura, c’è sempre stata la rivalità tra queste due fazioni, che è tipica di chi vive nei villaggi e trova ragione di essere nell’ardore verso le proprie usanze e gli antichi mestieri: dal modo di pescare appunto al cucinare e servire il cibo in tavola. Ognuno propende dalla propria banda per dire “noi siamo i migliori”: comunque si tratta di quella competizione sana che può solo infiammare energia nei protagonisti e non rapporti conflittuali. È certo che nella caccia al pescespada il vero scontro non è tra barche da pesca di rioni diversi ma tra la singola barca e il pescespada da “acciuffare”. Le marinerie più consistenti erano quelle di Ganzirri e Torre Faro. Il tipo di pesca comportava in passato un equilibrio tra le rappresentanze. Invece, le famiglie più inflazionate che la praticano tutt’oggi sono di Ganzirri: Mancuso e Arena ed esponenti di Donato. Il pesce e la barca hanno le stesse possibilità anzi il pesce ne ha qualcuna in più perché può scappare mentre la barca non sempre può raggiungerlo. Le due marinerie si confrontavano e chiedevano aiuto alle colleghe calabresi. Per esempio adesso, tra maggio e giugno, le messinesi sono fuori perché si dirigono nell’altra sponda, dove la passa del pesce spada avviene in questo periodo. Da contraltare quando finiva il periodo della Calabria, le marinerie peloritane chiamavano gli equipaggi calabresi (non le barche ma le persone) e da qui è nata la fratellanza – una sorta di gemellaggio. Soprattutto erano i Faroti a cercare la collaborazione dei loro vicini di costa. Lo hanno fatto per diversi anni perché ogni barca ha il suo bravo avvistatore, il suo capacissimo arpionatore, un aiuto in più rintracciato nella sinergia con i mezzi di Scilla che si sono quasi estinti (ce ne sono solo due). Al sorteggio delle barche a Messina c’è la partecipazione dei calabresi e viceversa a Scilla si verifica quella dei peloritani. Le feluche hanno dimensioni esagerate perché devono mantenere una stabilità in mare e sono in grado di fare una virata su stesse senza risultare ingombranti. Il sistema è perfezionato dagli anni Settanta. La più piccola ad oggi misura 13 metri e si chiama Nibbio. Tra quelle che fanno parte dell’Associazione Pescatori Feluche dello Stretto, le più grandi sono di 17 metri e si chiamano Nino Piri (che coincide con l’armatore) e la Santa Rita (di Letterio Mancuso). Le barche moderne variano da 12 a 17 metri. La tendenza è di tornare a quelle di proporzioni minori. L’arte di costruire una feluca si sta smarrendo: a Messina è rimasto un unico maestro d’ascia che si chiama Domenico Staiti e ha il cantiere nella zona di Maregrosso. Si spera che possa infondere questa maestria a qualche volenteroso.

Una feluca non può abbandonare la riva senza le sue figure essenziali a bordo: il lanciatore che deve arpionare la preda e sta in passerella, l’avvistatore che si posiziona sull’antenna centrale e chi governa la barca ovvero spesso è lo stesso armatore che svolge pure altri compiti nell’economia del lavoro o a volte non parte affatto per la battuta di caccia. Il pesce viene recuperato dalla sponda del mezzo, se non ci sono difficoltà quali un pesce troppo grande che viene lasciato alla barchetta. Questa remerà libera dietro alla feluca per lavorarlo lentamente. Il lanciatore non sale mai sulla barchetta o comunque, se il pesce viene lavorato di sponda, arriverà sempre in un secondo tempo, magari perché ci vuole un soggetto più forzuto. Tutti si intercambiano nei due ruoli di lanciatore e avvistatore, compreso il comandante che può essere multitasking. Il peso nella società armatoriale non incide sul ruolo da ricoprire nell’assetto di “combattimento”: qui conta solo la bravura del pescatore. L’equipaggio standard è fatto da un minimo di tre persone di cui solo due scendono nella barchetta ausiliaria. La preda non può essere prelevata quando il pescatore lo decide: bisogna attendere che si stanchi e salga a bordo. È una perdita di tempo. Si lascia quindi la barchetta procedere con il ritmo del pesce e si rischia di perdere l’avvistamento di altri pesci. Una dinamica che può durare anche mezz’ora – tre quarti d’ora. I pescatori in questa fase tengono solo in mano la corda per accorgersi quando il pesce rallenta per tirarlo su e metterlo nella cesta. L’altra barca continua a girare e cercare altri pesci che stanno nuotando nella costa. Da anni, si lotta per avere un riparo pesca perché la postazione disponibile non è adeguata per nessuno dei proprietari. In genere, si indica quella più vicina possibile all’abitazione.

Tra le barche che hanno preferito un’attività autonoma dall’Associazione dello Stretto, c’è la Cooperativa “Feluca Simone – Arena” della famiglia Arena che si pregia a Ganzirri con tre generazioni di pescatori. L’altro socio è Mancuso con la “Nuova Scilla”. La Feluca “Simone” staziona dentro al porto di Messina in zona Arsenale ed è la più grande di Messina: 23 metri di lunghezza, passerella di prua 45 metri, antenna 35 metri. Simone che è l’antenato è scolpito nella memoria dei quattro figli e dei cinque nipoti maschi (tra i 30 e 45 anni) che coltivano la passione della caccia al pesce spada. Ognuno di loro esercita una propria professione legata al mare e poi torna sulla feluca, appena può, ad aiutare gli affari di famiglia. Noi abbiamo intervistato Luca Arena 31enne che è primo ufficiale di coperta sulla nave da crociera Carnival (in questo momento alle Bahamas e in servizio fino alla fine di agosto). Luca è figlio di Nino che ha 76anni ed è sempre ‘ntinneri (vedetta) e anche comandante (avendo i comandi di controllo sull’albero). “Suo padre – dice – dimostra 45 anni a livello di forza fisica, agilità, lucidità e resistenza. Poi, ci sono lo zio Franco e altri due zii Pasqualino e Pippo che ormai è fiocinatore in pensione”. Luca è anche vedetta e solitamente sta in cima all’antenna, insieme ad altri tre; la ripartizione dei compiti fa sì che almeno uno di questi stia al recupero del pescato e conduzione del motore o timoneria e lavori di coperta (come anche in cucina). E a proposito di cucina: la Feluca “Simone” offre, a luglio e agosto, il pranzo a bordo con un massimo di 5 passeggeri anche per le restrizioni anti Covid-19. Oltre al pesce spada che può capitare che non venga preso, si prepara il pescato del giorno come il tonno rosso e l’aguglia imperiale. “I nostri contatti a terra ci servono anche per reperire cozze e vongole per gli ospiti”, conclude Luca. Per prenotazioni, la loro Pagina Facebook è “Feluca Simone – Arena” e si raccomanda di farle due giorni prima al numero 328 1148418 oppure 329 5644531. Infine per il nostro angolo culinario, segnaliamo la ricetta del “pesce spada alla messinese” che ha la variante con pomodorini, cipolla e capperi, insieme a pangrattato, mandorle e prezzemolo.