Le proteine possono essere un’arma politica? La risposta è sì, nell’era Trump, nel mondo della polarizzazione di tutto e tutti, anche le proteine fanno politica, hanno l’elmetto e combattono una guerra ideologica nelle nostre menti e nei nostri corpi.
Prima, l’era Obama con l’orto alla Casa Bianca e le verdure nelle mense scolastiche, il best seller di Michel Pollan, “Il dilemma dell’onnivoro” che ci spiegava come scegliere gli alimenti per il nostro carrello: nulla la cui etichetta vostra nonna non avrebbe potuto capire. Ora invece il ritorno del maschio bianco, la sua voglia di rivincita sulle donne, sul mondo che (a suo dire) lo discrimina e lo umilia, la vittoria della manosfera ha un suo correlativo culinario: la carne e il tipo di mascolinità, antica (tossica?) che questa (richi)ama.
Eravamo ai tre stelle Michelin con menu totalmente veg, ora si assiste al ritorno, orgoglioso e climaticamente impattante delle hamburgerie, meglio ancora se utilizzano grasso animale per la frittura .Se da recenti ricerche si evince che in media le emissioni inquinanti degli esseri umani di sesso maschile sono molto superiori a quelli delle donne, questo è in ragione della predilezione per l’uso dell’automobile e per il consumo di carne rossa, non sembra questo il momento storico in cui questi trend, tossici, per il pianeta e per le persone, possano essere messi in discussione.
E se nel marzo 2022 il New York Times si chiedeva se fossimo all’alba della fine della carne, nel 2025 possiamo affermare che no, che la carne rossa e la mascolinità bianca e cisgender che essa, da sempre accompagna, stanno benissimo, al contrario del mondo, e di molti suoi abitanti, ovviamente non bianchi e non carnivori. E assieme al Nyt anche altri giornali progressisti come il New Yorker e The Atlantic raccontano di come sta cambiando lo stile delle abitudini alimentari negli Usa di Trump. E sembrerebbe che i consumi di carne siano in aumento.
Sui social un (nuovo?) trend, i “meat influencer” fa strage di visualizzazioni, enfatizzando uno stile di vita a base di muscoli esibiti e carne cruda, meglio se ancora pulsante. Uno dei suoi più famosi alfieri “The Liver King” (il re del fegato, avete capito bene) con la sua dieta a base di interiora e testicoli, è protagonista di un documentario Netflix, e con lui orde di ominidi barbuti fedeli al credo di #Bbbe: beef, bacon, butter, eggs, (manzo, pancetta, burro e uova).Il richiamo, tipicamente da estrema destra è un’alimentazione di tipo ancestrale, primitiva, di un passato lontano e fumoso (!), i cui contorni sono lontani e poco definibili.
Il meat influencer si è scritto è il contrario del foodie: il suo è food horror non food porn, questi uomini che mangiano carne che gronda sangue, rigorosamente con le mani, (le posate e i piatti sono da maschio beta, da perdente, da sfigato) aspirano ad essere un modello per i maschi in crisi d’identità, che comprano i corsi di seduzione online, e sognano di essere Andrew Tate, (almeno quando è fuori dal carcere).
Se carne rossa, bacon, e uova, sono le fonti di proteine ammesse da questi (autoproclamati) maschi alfa, quella bandita invece, ovvero la proteina nemica, progressista, woke, è la soia. Sì, la soia e i suoi derivati sarebbero l’arma biologica con cui una cospirazione internazionale sta depotenziando la mascolinità occidentale, facendo diventare tutti i maschi, deboli, vulnerabili e queer: dei Soy Boy.
I Soy Right, infatti, esponenti di questa corrente (culturale?) di maschi bianchi che hanno scelto la soia (e i suoi derivati) come nemico, sostengono che la soia contenga estrogeni, e che quindi il suo consumo, nei maschi porti a sviluppare tratti fisici femminili, e in generale debolezza, tratto che i maschi carnivori associano, di default, alla femminilità. Il maschio della era Trump, beve (e digerisce) il latte intero, rifiuta la soia in ogni sua forma, si nutre di snack a base di proteine animali, prodotti da veterani dell’esercito, e carne cruda preferibilmente.
Cambiamento climatico, salute e benessere animale, temi che tanto sembravano avere preso campo nel dibattito pubblico e nella vita delle persone, sembrano ormai relegate nel passato. Anche da noi, hamburgherie, steak house e grill, format dal sapore (e dall’odore) anni ‘80 sembrano tornate di moda, in clima di gastro restaurazione che relega le opzioni vegetariane ad una sorta di alimentazione penitenziale e insapore, che sa più di espiazione che di gourmanderie. Il che, cosa e come lo mangeremo è una delle sfide più grandi del futuro che abbiamo davanti, come umani e come pianeta in genere, ma del futuro, in questo clima surriscaldato e violento sembra importare sempre meno. Poche sembrano le (gastro) speranze in questo presente dove domina il fumo di carne (non solo animale) che brucia e che muore, ma sotto le ceneri spesso covano fermenti, verdissimi, di futuro.