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L'intervista

Antonio Cappadonia: “Magia e mistero nel gelato al limone, è il mio gusto preferito. Sherbeth? Non sono più il direttore. E sul pistacchio…”

07 Ottobre 2025
Antonio Cappadonia. Foto © Norman Vitale Antonio Cappadonia. Foto © Norman Vitale

Il maestro gelatiere tra i più famosi d'Italia si racconta in un'intervista. "Il mio sogno è aprire un altro punto vendita a Cefalù. A cambiarmi la vita è stato un libro"

Il tuo primo ricordo legato al gelato?
“Avevo otto anni. A Cerda, a circa 60 chilometri da Palermo, il mio luogo di nascita e dove ancora oggi vivo. La gelateria dei fratelli La Tona era il mio luogo preferito. Aspettavo che si facesse il gusto al limone per andare a prendere una brioche col gelato appena fatto. Era un momento che mi rendeva felice. Estraevano il gelato a vista, sentivo il profumo del limone. Fantastico. Emozionante. È stato un innamoramento a prima vista”.

E lo ricordi ancora oggi?
“Sì. Indimenticabile”.

Antonio Cappadonia, 60 anni, è uno dei maestri gelatieri più noti in Italia. Talento, passione ed entusiasmo non gli fanno difetto. Il tutto poi è accomunato da un pizzico di sregolatezza che lo rende un personaggio. Fa gelato da sempre. Spesso di notte. Chi lo conosce infatti magari lo chiama a mezzanotte, mai alle sette del mattino. Divoratore di libri, infallibile ricercatore di materie prime di qualità, conosce i suoi colleghi migliori di mezzo mondo grazie a una rubrica telefonica portentosa. Talvolta lo chiamano dal resto d’Italia e dall’estero in veste di conferenziere e più le platee sono ampie più si trova a suo agio a parlare di gelato e a raccontarsi. A Palermo, assieme a Donato Di Donna, un imprenditore pugliese col pallino della finanza e ormai palermitano d’adozione, da sette anni è il proprietario di tre gelaterie che portano il suo nome. Se si vuol mangiare un gelato più che buono non è possibile non imbattersi nel nome di Cappadonia. E poi c’è la direzione, dal 2007, di Sherbeth, il festival che si svolge ogni anno di questi tempi a Palermo e dove arrivano nel capoluogo siciliano artigiani gelatieri da tutto il pianeta. Grazie a lui.

Come sei diventato gelatiere?
“Mi diplomo, mi iscrivo a Giurisprudenza ma mio papà aveva già capito che il mio futuro in qualche modo era legato a qualcosa che aveva a che fare con il gelato. Mi spinse a lavorare. Non ero convinto del tutto. Non volevo fare il tagliabuste. Tutti facevano il gelato con i preparati. Quel mondo non mi apparteneva. Poi però mi imbatto in un libro, quello di Luca Caviezel, che ancora oggi è la mia bibbia. Mi ha cambiato la vita per sempre”.

Titolo?
““Scienza e tecnologia del gelato artigianale”. Per me fu una svolta perché anziché studiare Giurisprudenza cominciai ad appassionarmi al gelato. Che ha bisogno di elaborazione, di studio, di ricerca. E tutto questo mi piaceva moltissimo. Il libro dava contezza alle mie visioni e dava risposte alle mie domande”.

Erano gli anni ’80. Com’era Cerda in quel periodo?
“Si stava bene grazie a un’agricoltura fiorente. Carciofi, carciofi, carciofi. E un mercato che ben remunerava i coltivatori. C’era una discreta ricchezza. Oggi è tutto in declino. Le aziende agricole soffrono tanto. Si è inceppato un meccanismo, non c’è stata innovazione, nessuno ha cercato di migliorarsi, tranne qualche rara eccezione. I coltivatori non si sono adeguati e, per esempio, il mercato ortofrutticolo di Palermo, principale punto di snodo, è inadeguato e ora siamo stati invasi dai carciofi del Nord Africa a costi molto più competitivi”.

Cerda evoca la Targa Florio…
“Esatto. Potrebbe essere un volano ma manca la volontà e il crederci. In questa parte della Sicilia – e non solo – si potrebbe vivere di sola storia. E invece non facciamo nulla. Le tribune di Cerda della Targa Florio potrebbero diventare una cittadella dell’auto e poi si potrebbe aprire un museo di veicoli d’epoca. La cultura crea economia e non il contrario. Non finisce qui. A pochi passi da Cerda c’è anche l’antica Himera, ovvero il primo presidio greco nella Sicilia occidentale, che potrebbe rappresentare un richiamo significativo. E invece nulla. E le acque termali di Sclafani Bagni, sempre nel comprensorio? Abbandonate e dimenticate”.

Torniamo ai gelati. Quando apri il tuo locale?
“Nel 1987 in via Roma 153, la strada principale di Cerda. Con mio fratello Giuseppe apriamo una caffetteria che è anche gelateria e pasticceria. E comincio due anni dopo a frequentare le prime fiere di settore a Milano, a Longarone in Veneto e a Rimini. E scopro il mondo, le fiere mi scoperchiano la testa perché non avevo idea di che cosa fosse il gelato. Incontro un sacco di colleghi e ci scambiamo le nostre esperienze. Ma non finisci mai di studiare. Ancora oggi”.

Da lì arrivano i primi riconoscimenti?
“Comincio a fare parte, come delegato siciliano, dell’Accademia della Gelateria Italiana che è la prima vera organizzazione di settore. E poi partecipo a tanti concorsi, terzi, secondi, primi posti sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Un passo ulteriore che mi consente di conoscere moltissimi colleghi bravissimi. Non esiste una legge che definisca il gelato artigianale, tra di noi ci siamo dati un codice da rispettare”.

Secondo te quando un gelato è buono?
“Dipende molto dalla materia prima. Se non è buona è inutile ogni sforzo. Per esempio la frutta. Deve essere gustosa. Un gelato al limone, alle fragole, al mango o a qualunque cosa deve avere requisiti di maturazione tali da rilasciare gli aromi al meglio. Se gli aromi sono quelli giusti anche il gusto non deluderà”.

Quindi materia prima, maturazione…
“E ancora manualità e quindi mantecazione. Le quattro M fondamentali per un buon gelato. Che deve suscitare comunque un’emozione. Il bello del gelato è il suo gusto che deve essere equilibrato, appagante, persistente, mai stucchevole. Deve suscitare un’emozione. Nessun processo industriale potrà mai eguagliare il traguardo di un gelato artigianale ottenuto con tutti i requisiti necessari”.

Il tuo riconoscimento più importante?
“Un concorso internazionale a Rimini, quando vinco il primo premio al Sigep con un gelato gianduia. Erano i primi anni ’90. Sono stato il primo in Sicilia a vincere un premio del genere. Devo ringraziare la mia passione che mi porta tutti i giorni a lavorare con la stessa voglia”.

Qual è il tuo gusto di gelato più riuscito?
“Il mio punto di riferimento è sempre stato il gelato al limone. È quello che forse mi riesce meglio ma è anche il mio gusto più incompiuto. Sembra facile ma è il gusto più complesso che conosca. Per me è magia e mistero. È l’unico frutto che trovi in Sicilia tutto l’anno ma trovare l’equilibrio tra aroma, gusto e acidità soprattutto è sempre un rebus. Ti mette alla prova. È una continua sfida”.

Poi arriva l’esperienza come direttore allo Sherbeth, una manifestazione importante del gelato. Giusto?
“Nel 2007 la prima edizione, vengo chiamato dagli organizzatori a svolgere il ruolo di direttore che ho svolto ininterrottamente. Con il compito di coinvolgere i miei colleghi siciliani più bravi e poi a poco a poco quelli di tutto il mondo. Prima a Cefalù, poi a Palermo. È stata una bella e stimolante avventura. Penso di avere innovato un comparto perché non si era mai innescato un confronto del genere fra tanti gelatieri bravissimi”.

Perché il verbo al passato?
“La notizia non è stata diffusa ma non sono più il direttore tecnico di Sherbeth. Mi sono dimesso alla fine dello scorso anno. Perché? Per un senso di responsabilità. Dal 2018, con la nascita delle tre gelaterie a Palermo e di un laboratorio centralizzato, non ce la faccio più ad avere il tempo per organizzare anche un festival. Non ho più le energie profuse nel passato. Cedo il passo e consegno un evento che può camminare sulle proprie gambe”.

Già, parliamo delle gelaterie a tuo nome?
“Dopo aver chiuso la caffetteria-gelateria di Cerda e dopo ben cinque anni sabbatici in cui ho studiato parecchio mi tuffo in quest’avventura con Donato Di Donna, socio di visione e gestione. Lui viene colpito da un articolo su di me pubblicato nientemeno che dal Financial Times, ripreso a sua volta da Il Sole 24 Ore, e gli viene la grande curiosità di conoscermi. Da lì comincia tutto. Apriamo nel 2018 in corso Vittorio Emanuele, l’anno dopo in piazzetta Bagnasco e nel 2023 al Molo Trapezoidale”.

La prossima apertura?
“Non è in programma ma ho un sogno: aprire a Cefalù. E poi nel cassetto ho altri progetti ma è ancora presto per parlarne”.

Come mai Cefalù?
“Perché è una cittadina di grande bellezza, mèta turistica importante, un luogo a me vicino idealmente e geograficamente”.

Gelaterie che portano semplicemente il tuo nome. Come mai?
“Abbiamo pensato che potesse funzionare. E in effetti ha funzionato, tanto che il Gambero Rosso, che pubblica la guida più seguita e più autorevole, fin dalla prima apertura mi ha subito attribuito i tre coni, il massimo punteggio. E mi fa piacere segnalare anche la Lonely Planet, che mi definisce tra le sei migliori gelaterie italiane”.

Perché al Nord ci sono tante gelaterie eccellenti e al Sud invece ce ne sono molto meno, almeno a giudicare dalle guide?
“È un fatto soggettivo. Secondo me il gelato buono si trova un po’ ovunque. Probabilmente al Nord c’è un approccio diverso e più imprenditoriale”.

Al Sud abbiamo però la materia prima migliore. Giusto?
“È così. I miei amici del Veneto per esempio mi invidiano per tutta la frutta che abbiamo”.

Anche il pistacchio, tra i gusti più gettonati?
“Il pistacchio più buono che conosco, ad oggi, si produce in Spagna. Anche se quello di Bronte è comunque un’eccellenza”.

C’è un momento migliore del giorno per mangiare il gelato?
“È un alimento sano e completo, purché artigianale, che va bene in ogni momento della giornata. Basti pensare all’abitudine tutta siciliana di mangiare la granita con la brioche per la prima colazione”.

Cappadonia più artigiano o maestro gelatiere?
“Artigiano, direi, non ho la presunzione di sentirmi un maestro gelatiere. Ho ancora da imparare. L’artigiano è colui che conosce la materia prima, costruisce la ricetta e può interloquire col proprio cliente a cui può spiegare come lo produce. Un confronto fondamentale”.

Alla fine come riconosciamo il gelato buono?
“Deve avere un senso di calore al palato, per quanto si tratti di qualcosa servito a una temperatura fredda; deve avere un sapore fine, non saponificato, colori tenui e cangianti e un grado zuccherino contenuto, mai caratterizzante e mai ghiacciato”.

Il libro che stai leggendo?
““Francesco” di Aldo Cazzullo. È bellissimo. E poi viene fuori la figura di un uomo straordinario e inaspettato. Santo e patrono d’Italia. Per me, cattolico sempre più dubbioso, è una grande sorpresa”.

Antonio Cappadonia. Foto © Norman Vitale