“Inserire il nome Palermo nelle etichette dei vini della Doc Monreale? Io penso che la proposta sia attrattiva”. Così Roberta Garibaldi, docente di Economia e gestione delle imprese turistiche all’Università degli Studi di Bergamo ed esperta, commenta l’idea lanciata da Cronache di Gusto e l’appello fatto al presidente del Consorzio, Mario Di Lorenzo (leggi qui), cioè quella di inserire anche la dicitura Palermo, per potenziarne la forza comunicativa e attrarre un pubblico più ampio.
“Ma è la Sicilia ad avere una grandissima attrattività – spiega Garibaldi – sia a livello nazionale che internazionale. Questo brand nel mondo del vino ha oggi un’attrattiva persino più forte di quella di Palermo. Lo vediamo chiaramente: la regione è una meta in crescita a dismisura nel turismo enogastronomico”.
Il punto di partenza è chiaro: Monreale, pur avendo una straordinaria identità culturale e artistica, rimane per molti una destinazione meno immediatamente riconoscibile rispetto a Palermo. E in un mondo in cui la velocità dell’informazione e delle percezioni giocano un ruolo chiave, il nome di una città può fare la differenza.
A confermare questo approccio è Luca Fois, designer e docente al Politecnico di Milano: “In generale il primo approccio delle etichette è emotivo, sensoriale e percettivo. È il 70% delle motivazioni di acquisto. Il colpo d’occhio è importante: dalla grafica alle proporzioni fino alle immagini iconiche. Avere un preciso riferimento geografico fa la differenza. Palermo è conosciuta in tutto il mondo, e un nome che comunica e ricorda immediatamente qualcosa di positivo rende il consumatore più disponibile a scoprire il prodotto. Lo vediamo nel vino con la Toscana, con il Piemonte. Quindi l’idea è corretta e da valutare.”
In sostanza, mentre l’attenzione del consumatore viene catturata in pochi secondi, un riferimento immediato e familiare come Palermo può rappresentare un vantaggio competitivo decisivo. Prima ancora di leggere, confrontare o degustare, è l’emozione visiva a costruire il primo livello di interesse.
Palermo e Monreale, insieme a Cefalù condividono poi l’itinerario arabo-normanno, riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Tuttavia, l’analisi condotta dal team di Roberta Garibaldi invita a leggere diversamente il ruolo del riconoscimento Unesco nella scelta turistica: i dati mostrano che il richiamo dei siti patrimonio dell’umanità, seppur positivo, non sempre si traduce in una reale motivazione di viaggio.
Secondo lo studio, la probabilità di scegliere una vacanza che includa tappe in siti storici Unesco è del 59% per gli italiani, 49% per i tedeschi, 46% per gli inglesi e 51% per gli americani. Percentuali che si abbassano nel comportamento reale: solo il 33% degli italiani, il 26% dei tedeschi, il 32% degli inglesi e il 40% degli americani visitano effettivamente siti Unesco durante i loro viaggi.
Un cambio di nome o un aggiornamento dell’etichetta richiedono però attenzione e metodo: “Per fare un cambio di nome – dice Garibaldi – ci sono ricerche di mercato da fare. È necessario analizzare trend e dati per essere certi che l’operazione sia efficace. Non basta l’intuizione; serve una strategia basata su evidenze”.