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L'intervista

“Non chiamatemi ribelle. Lo faccio solo per l’Alto Adige”

05 Marzo 2021

di Giorgio Vaiana

Non vuole essere chiamato ribelle. E nemmeno rivoluzionario. Alois Clemens Lageder ha le idee chiarissime.

Il suo gesto, di produrre alcuni dei suoi vini fuori dal consorzio Doc Alto Adige (etichettandoli come Igt Vigneti delle Dolomiti, leggi questo articolo>) ha fatto molto scalpore. E non solo dalle sue parti. Ma Lageder, che è anche componente del Cda del consorzio Doc Alto Adige sapeva sin dall’inizio che questo gesto, questa scelta così controcorrente, avrebbe fatto discutere. “Non voglio fare nesuna polemica – dice Lageder – Il mio gesto vuole dare una scossa, uno sviluppo in meglio al nostro consorzio. Chiaro, ci sono delle regole e vanno rispettate. Ma credo che adesso sia venuto il momento di cambiarle, di svilupparle, soprattutto quando parliamo di stilisica dei vini”. Lageder ha tutto chiaro in testa e lo espone con molta fermezza. Tutto nasce dal loro Pinot Grigio, uno dei fiori all’occhiello della produzione enologica della cantina che si trova a Magré in provincia di Bolzano. “Siamo molto fieri del nostro Pinot Grigio – dice Lageder – Un vino bello strutturato, con una bella complessità. In bottiglia siamo riusciti a mettere un vino con tantissima freschezza e acidità naturale, con un corpo interessante. Un vino molto verticale”. Ma c’è un problema: il grado alcolico. “E’ un vino appena sotto 11,5 gradi, troppo pochi per il consorzio”. La commissione, infatti, non l’ha nemmeno voluto assaggiare. “A queli punto dici che possiamo parlare di tante cose – dice Lageder – Se un vino ha un errore, magari una volatile troppo alta per essere commercializzato, allora accetto la decisione. Ma qui stiamo parlando di un grado alcolico più basso rispetto a quanto prevede il disciplinare. E lacommissione non lo ha nemmeno assaggiato. Invece è buonissimo”.

Lageder parla di “filosofia aziendale”, di “scelta stilistica” chiara e difende il suo gesto: “C’è un limite a quello che possiamo accettare o meno – dice – Noi adesso ci stiamo impegnando molto con i vini biodinamici, sul piatto delle cose da fare ci sono tante tematiche importanti che cozzano con un disciplinare vecchio di 50 anni. Mentre la Natura, di contro, è in costante sviluppo. E noi possiamo e dobbiamo adattarci alle regole che ci detta la Natura, non i disciplinari”. Il cambiamento climatico, dunque, adesso è una sfida non solo per Lageder, ma anche per tutti i produttori dell’Alto Adige: “Certo, possiamo fare dei vini con 15,5 gradi, ma anche con 10 – dice – ma il consorzio deve sviluppare una ventata di novità adattate al tempo che stiamo vivendo. Io, insieme al gruppo dirigente, sto cercando di far comprendere quanto sia importante iniziare questo processo. E sono certo che tra cinque, sei, massimo sette anni tutti ne beneficeremo”.

Per Lageder, il suo gesto non sarà emulato da altri (“ma nemmeno vorrei una cosa del genere”), ma l’intento è quello di focalizzarsi sul territorio: “Quando è stato fondato il consorzio, l’Alto Adige era molto diverso – dice – C’era un clima diverso, un territorio diverso, ma la Natura cambia. Facciamo fatica adesso a mantenere quell’acidità che era così facile fare 30 anni fa. Ora c’è un problema di maturità dell’uva. E credo sia venuto il momento di adattare le regole del consorzio a quello che è oggi l’Alto Adige. Per questo ho deciso di uscire con alcuni vini dal consorzio”. Negli ultimi anni, in generale in Italia, la quota della viticultura si sta sempre di più “alzando”. “Certo è una possibilità piantare vigneti a quote sempre più alte – dice Lageder – ma non deve essere l’unica. Poi piantando a quote sempre più elevate si modifica per sempre il paesaggio. Credo che anche qui dovremo ripensare il nostro modo di fare vini, cambiare lo stile, pensare a una vinificazione di uva intera sulla buccia, magari al colore del vino che non sarà più lo stesso. Trent’anni fa eravamo conosciuti per i vini rossi, con Schiava e Lagrein, oggi per i vini bianchi. Chissà fra 30 anni ancora. Magari non ci saranno più uve a bacca rossa da noi. Serve flessibilità mentale del produttore, ma anche un documento agile da parte del consorzio che ci aiuti con questa elasticità. Dobbiamo intervenire in tempi sempre più veloci. Bisogna collaborare con gli istituti di ricerca e non porre limiti con delle regole fatte negli anni ’70”.