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L'intervista

Olio, in Sicilia campagna 2020 determinata dal clima: “Trapani e zone centrali al top”

18 Settembre 2020
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di Giorgio Vaiana

Sta cambiando il clima. E ce ne siamo accorti un po’ tutti. Sono sempre di più gli episodi di “bombe” d’acqua o grandine e ormai non è inusuale vedere una tromba d’aria.

Segno della tropicalizzazione del nostro paese. Una tropicalizzazione che, però, sta cambiando, e tanto, anche l’agricoltura italiana. Ormai ci sono vendemmie sempre più precoci e anche per quanto riguarda il mondo dell’olio, le olive si raccolgono prima e stano trovando habitat fino a qualche tempo fa inimmaginabili. Ne abbiamo parlato con Tiziano Caruso, ordinario di Coltivazioni arboree presso l’Università degli Studi di Palermo. Con lui affrontiamo la delicata questione della nuova campagna olivicola in Sicilia. Che, come detto, si preannuncia tra luci e ombre. “Dal punto di vista quantitativo – dice il docente – si ripropone ormai la solita questione legata al clima. Un fenomeno, questo, che vediamo ormai determinante da tre anni a questa parte”. Durante la fioritura, infatti, venti di scirocco vengono seguiti da forti nubifragi. “Fenomeni climatici – spiega Caruso – che colpiscono le piante e determinano un abbassamento produttivo”. Dall’altro lato, però, i produttori di olio sono diventati più furbi: “Stanno migliorando anno dopo anno le loro tecniche colturali – dice il professore – e si tende a raccogliere l’oliva molto prima, non si attende quella super-maturazione tipica dei nostri nonni. Inoltre mi accorgo di come la tecnologia, soprattutto nei frantoi, stia diventando una componente fondamentale per la qualità dell’olio siciliano”.

E proprio sulla Trinacria puntiamo i riflettori di questa campagna olivicola 2020. “Mi sento di dire che sarà una stagione un po’ a macchia di leopardo – dice Caruso – Ossia ci saranno zone della Sicilia che avranno eccellenti raccolti sia in termini di qualità che quantità, altri che dovranno fare i conti, molto di più, con i cambiamenti climatici di cui vi parlavo poco fa”. Tra le zone “fortunate”, la Valle del Belìce e le aree interne dei monti Sicani. Mentre non arrivano buone notizie dal palermitano e dal messinese. C’è un altro problema che sta influenzando la raccolta delle olive. Ed è quello dell’umidità. “Abbiamo rilevato – spiega Caruso – un aumento del tasso di umidità un po’ dappertutto. Questo favorisce le malattie fungine, come l’occhio di pavone, o quelle batteriche come la rogna. Un altro fattore che determina un aumento dell’uso dei parassitari. Ma ci consente, questo, di studiare ancora meglio come le diverse varietà siano più o meno resistenti alle diverse malattie”.

Tropicalizzazione del clima, dicevamo, ma l’ulivo non è certo una pianta tropicale: “Assolutamente no – dice il professore – è una pianta mediterranea, da clima asciutto”. L’olio siciliano, però, ormai da anni si sta distinguendo anche nel mondo. “Ormai è un’eccellenza riconosciuta – dice Caruso – e il brand Sicilia aiuta tantissimo il successo di questi oli e gli da un valore aggiunto. Al top secondo me ci sono le zone del siracusano e del ragusano, insieme alla Valle del Belìce. Mentre nel messinese c’è ancora molto lavoro da fare. Ma siamo sulla strada giusta”. Ci sono delle zone da tenere d’occhio, per Caruso. E sono quelle di medio e alta collina. “Con i cambiamenti climatici – dice Caruso – credo che ormai le coltivazioni di ulivo siano sempre più destinate a salire di quota, tra i 300 e i 600 metri, nelle zone di medio-alta collina. Qui secondo me ci sono ottime potenzialità, a patto che ci sia acqua e che, soprattutto, i terreni consentano l’accesso ai macchinari per la raccolta”.