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L'intervista

Camilla Guarneri: “Io pastry chef per testardaggine. Le mie esperienze con Alajmo, Bottura e Beck”

09 Gennaio 2024
Camilla Guarneri Camilla Guarneri

È sempre un mare in tempesta l’animo di chi si muove fra ragione e sentimento. Un’Odissea di sensazioni che porta talvolta a remare in direzione ostinata e contraria per raggiungere quell’Itaca che, in fondo, si porta sempre nel cuore. Così è per Camilla Guarneri classe 1992, Pastry Chef, figlia d’arte e di contrasti come la sua mano in pasticceria. Nata nel gusto del bello e del buono sul lavoro ama definirsi una sentimentale “è come una relazione, faccio quello che sento”. Un punto di partenza, tre esperienze di alto profilo, un inesauribile desiderio di ascoltarsi e ispirazione costante, un dessert menzionato come miglior piatto nella cornice del St.George restaurant by Heinz Beck di Taormina da parte de L’Espresso, ne fanno una professionista in continuo movimento creativo che con coraggio trae forza di crescita dalla propria emotività.

Qual è stato il punto di partenza?
“Il mio punto di partenza è quando sono nata, è stato un assorbire spontaneo e quasi in maniera incosciente. Mio padre voleva che mi laureassi come le mie sorelle. Ma a me piaceva quello che faceva lui e dopo “grandi guerre” ho deciso. Alla fine lui si è arreso e ora è felicissimo.
Non lo so perché l’ho fatto, ma è come se non ne potessi fare a meno. Nel 2015 lo stage da Bonajuto a Modica con Franco Ruta segna l’inizio. Poi ho frequentato il Master della cucina italiana dello Chef Alajmo, al seguito del quale ho fatto uno stage. Fra le varie partite della cucina è in quella della pasticceria dove mi sono sentita più a mio agio. Ho conosciuto me stessa all’interno di questo ambiente, all’inizio erano lacrime e pianti, non perché non stessi bene, anzi, ma perché era un mondo diverso magari da qualcosa d’ufficio o dal frequentare l’Università. È stata un’esperienza forte e formativa”.

La strada è proseguita ancora nel fine dining, cosa l’ha spinta?
“Bisogna avere il coraggio di fare scelte, anche quelle che gli altri non condividono, anche quelle che sembrano pericolose e apparentemente ti fanno fare un passo indietro. In realtà sono proprie queste che ti danno lo slancio per fare due passi in avanti. Lo standard alto è difficile da mantenere, devi avere focus sulla qualità ogni giorno. Così come è avvenuto con lo Chef Bottura in Gucci Osteria a Firenze. Quella è stata un’altra bellissima esperienza. Firenze è fonte di ispirazione continua e con Karime Lopez siamo state anche a Singapore un mese e mezzo in occasione dell’apertura di questo format in Giappone. L’esperienza con Heinz Beck, invece, inizia nel 2020 e si è di recente conclusa al St. George di Taormina, in lui ho ritrovato uno degli insegnamenti di mio padre: l’educazione al gusto”.

Cosa hanno lasciato queste esperienze oggi?
“Lavorare da Bonajuto mi ha trasmesso la magia e il romanticismo di questo lavoro. Franco e Pier Paolo mi hanno lasciato un semplice messaggio “credici e ci riuscirai”, e sono anche onorata di avere letto tutti quei libri che conservava Franco Ruta nel suo ufficio. Per Alajmo il suo messaggio principale è stato il gioco, tutto quello che ruota intorno a questo lavoro deve essere divertimento. L’esperienza con Bottura è stata formativa dal punto di vista umano, capisci che diversità e ricchezza. Con lui, nella sua squadra, incontri diverse persone per età e cultura, questa differenza è stata un plus, colleghi giovani adulti, dal laureato al non. Colleghi sbagliati? Certo che ne ho incontrati e li capisci cosa non vuoi essere. Infine ma non meno importante il messaggio di Heinz Beck è stato quello del gusto. Lui educa le persone al gusto, che è l’insegnamento che mi ha lasciato mio padre senza che me ne rendessi conto. Ho rivisto nello Chef Beck una sfera anche più personale. In generale mi hanno trasmesso tutti grande passione e curiosità, che metto in tutto quello che faccio, quando esco o anche quando mi avvicino al vino. Con il vino non hai mai idea di cosa puoi incontrare, per me questo è molto affascinante”.

Quali sono i dessert con il quale sente un legame particolare?
“Mi viene in mente un pre dessert nato mentre facevo un aperitivo a Ortigia. Stavo bevendo uno spritz e lì mentre sul tavolo c’erano tante materie prime, la mia testa ha iniziato a pensare e a connettere tutti gli elementi. Ho visto lime, le mandorle salate, ho mangiato l’oliva, mi blocco, guardo il vuoto. La mia immaginazione ha iniziato a comporre un parfait di mandorle, coulis di cetriolo, finocchietto selvatico, sorbetto di lime e una polvere di olive e cacao. L’ho immaginato e l’ho fatto. La scorsa stagione questo pensiero che è diventato poi un pre dessert è piaciuto tantissimo, sono felice che alcuni ospiti abbiano chiesto di assaggiarlo di nuovo. Il secondo è la rivisitazione matura di uno di quei dolcetti che fai da bambina a casa per merenda. Frolla, mousse di pesca e ricotta caramellata in gel e sorbetto. La versione elegante di quel bicchierino con due biscotti sbriciolati che puoi fare anche a casa. I miei dolci hanno anche dei contrasti salati, sono freschi e con una buona parte acida. Sono a favore della contaminazione, non penso sia necessario usare solo cose dolci. Così come la nota vegetale data dal sedano croccante nel piatto menzionato dal Gambero Rosso, Yogurt kiwi, cioccolato bianco, erbe primaverili”.

Due cose che legano Camilla alla Camilla Guarneri Pastry Chef?
“Il gusto, sicuramente. Mai tralasciare quel dettaglio. Poi il mio rapporto folle con il mio lievito madre, vive sempre con me. Questa è la sintesi concreta del mio rapporto con questo lavoro”.

Quando arriva il momento di fermarsi e fare un passo avanti?
“A un certo punto capisci che fare passi avanti ci vogliono momenti da dedicare a te stesso. Questi momenti servono per darti slancio e ispirazione. È importante tutto, leggere, uscire. A volte provo la sensazione di avere esaurito qualcosa, ed è sempre difficile prenderne atto ma bisogna ascoltare quello che si prova. Sembra un po’ folle, ma è così”.