Un territorio, quello toscano, legato a una viticoltura di eccellenza nota in tutto il mondo e che non di rado stupisce con produzioni sempre nuove. È il caso del P#327 della tenuta Campogiovanni di Montalcino, una delle tre facenti capo a San Felice Toscana AD 714 (San Felice a Castelnuovo Berardenga e Bell’Aja a Bolgheri le altre due). Di 23 ettari di vigneto, per circa 110.000 bottiglie, sono 14 quelli di Sangiovese vocato alla produzione del Brunello. Ma quello derivante da una parte – chiamata Vigna Alta – si è fatto notare per le peculiarità, decidendo di vinificarlo separatamente.
E così gli enologi Leonardo Bellaccini e Carlo Franchini ne hanno tratto un vino elegante, di netto distacco dalle produzioni abituali già normalmente di qualità. Per Leonardo, entrato appena trentenne in azienda, Campogiovanni è stata palestra professionale (oltre 40 le vendemmie), considerata sempre da tutti una piccola perla. E dopo tanti anni, commenta: “Non si può crescere nei numeri ma nell’apprezzamento”. Ecco quindi un Brunello di Montalcino raffinato persino in etichetta, dove appare “vestito” di un completo gessato grigio antracite, a richiamare la sartorialità grazie alla quale arriva sulle nostre tavole (i vini di Campogiovanni sono distribuiti lungo tutta la penisola nei migliori ristoranti ed enoteche). Ne è stata quindi presentata l’annata 2020, accostata al Brunello Campogiovanni 2020. 6.600 le bottiglie dalla particella 327 derivanti da un ettaro e mezzo di vigna impiantata nel 2003; la numerazione è quella del catasto leopoldino, P sta appunto per particella.
Come si è originato questo cru, che dimostra la propensione di Campogiovanni per la vinificazione di microzone? Un inverno mite, non privo però di temperature sottozero a cui è succeduta una primavera con piogge regolari ed una estate non troppo calda. L’attenta gestione del vigneto e l’andamento stagionale hanno permesso di ottenere uve la cui la qualità è risultata eccellente; hanno fatto il resto la fermentazione in serbatoi di acciaio inox, la macerazione di 15-20 giorni, l’affinamento in botti di rovere (30 e 50 ettolitri per 30 mesi) e 12 mesi in bottiglia. Un processo che ha donato al P#327 profumi di frutta rossa matura e sottobosco, note balsamiche, spezie, con tannino morbido e persistenza delicata all’assaggio. Il Brunello P#327 esprime in bocca una struttura tannica più fitta ma nel contempo morbida e fresca, da abbinare con carni rosse alla griglia, carni rosse in umido, selvaggina, formaggi stagionati e preparazioni vegetali. Un assaggio che è una sorpresa, e non solo per l’affascinante racconto di una produzione particolare, ma proprio perché il P#327 esprime una struttura e un carattere che, pur tipiche del Sangiovese, stupisce per il brio e la spontaneità (ottimo rapporto qualità/prezzo: 78 euro circa).
Prosegue quindi una valorizzazione identitaria del territorio, che diventa alleato anche nel mitigare gli effetti del climate change e per evitare i cambiamenti epigenetici subiti dalle varietà a causa di esso. Come illustra Carlo De Biasi, direttore generale di San Felice, “anche il nostro modo di intendere la viticoltura deve adeguarsi per continuare a produrre uve di qualità e vini identitari”. Oltre alla certificazione quale organizzazione sostenibile Equalitas e a quella bio, che arriverà nel 2026, oggi l’azienda agricola toscana, al fine di giungere a vigneti resilienti nel lungo periodo, persegue una viticoltura rigenerativa organica basata “su recupero di naturale fertilità del suolo, attività microbica, aumento della materia organica, miglioramento del ciclo dell’acqua e sequestro del carbonio per un corretto equilibrio tra sostanza organica, minerali e microrganismi”, con l’impegno inoltre a migliorare la biodiversità nel rispetto di flora e fauna, importanti indicatori dello stato di salute dell’ambiente.