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Scenari

Ian D’Agata, direttore Vinitaly International Academy: “Ecco cosa piace adesso ai cinesi”

27 Marzo 2014
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La Cina non è solo bacino per i grandi vini francesi o per le icone dell’enologia italiana.

La cosa in cui sperano in verità molti produttori, cioè l'apertura ai i vini meno conosciuti, ai territori non blasonati, da parte del mercato più ambito dal wine business potrebbe essere una prospettiva non troppo lontana.

La curiosità verso questi mondi enologici, che fanno l'unicità del patrimonio tricolore, c’è ed è tanta. A incoraggiare gli animi è Ian D'Agata, appena rientrato in Europa dalla Cina. Il critico, penna del vino e direttore della Vinitaly International Academy nei giorni scorsi ha tenuto a Chengdu ( il terzo centro economico più importante del Paese), un ciclo di  Executive Wine Seminar dedicato a buyer, operatori del settore, alla stampa e a wine lover all'interno dell'iniziativa BtoB organizzata da Vinitaly International al Kempinsky Hotel. In tutto quattro lezioni con degustazione di approfondimento sul mosaico vitivinicolo italiano, quelle tenute da D'Agata. E’ stata l’occasione per i player del consumo di esplorare al naso espressioni e gusti diversi da quelli a cui i consumatori del Paese della Grande Muraglia sono affezionati. “Abbiamo trovato degustatori sensibili, palati non irretiti da vini grossi e profondi – riferisce -. Molti vini per loro sconosciuti sono piaciuti. Il vino italiano, la ricchezza di cultivar e di terroir li intriga molto. Hanno sempre bevuto principalmente Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot. E questi sono anche i vitigni che si sono piantati di più in Cina. Ma c’è un cambiamento. Intanto dal punto di vista viticolo i produttori cinesi hanno compreso che non tutti i loro terroir sono adatti a tali varietà e stanno iniziando a guardarsi attorno. Questo si riflette anche nei consumi”.

Dall’Arneis al Grignolino, dal Montepulciano d'Abruzzo alla Malvasia, dal Barbaresco, al Pecorino al Verdicchio al Soave, ampio lo spettro proposto dall’Academy che non  ha trascurato grandi rossi, tra cui quelli del Veneto rappresentati da Le Famiglie dell’Amarone e alcuni fine wine. “Ha conquistato l’eleganza del Sassicaia, per esempio, perché più esile rispetto ad altri masterpiece di Bolgheri”, aggiunge. Gli incontri hanno fatto da cartina tornasole, consentendo alla squadra Vinitaly International di capire anche ciò che chiede adesso la Cina e a cosa può essere sensibile. “Devo dire che non ho mai ricevuto così tante domande nei miei seminari, che sono durati ciascuno ben 90 minuti, come questa volta – ammette D’Agata -. Abbiamo trovato anche la formula giusta per potere presentare il Made in Italy. I cinesi sono rimasti davvero affascinati dalla varietà di aromi e di sapori dei nostri vini”. Dopo Chengdu, le prossime tappe segnate nella tabella di marcia di Vinitaly International sono Shanghai e Hong Kong, anche se l’intenzione sarebbe quella di replicare il programma in altre città del Paese, anticipa il direttore dell’Academy: “Vogliamo intensificare la promozione dei vini italiani in Cina”.

Manuela Laiacona