Birra e babaganoush: e sia, ma all’italiana. Insomma, un bell’esperimento di koinè alimentare: o di melting pot gastronomico, se preferite linguaggi più moderni. Quel che conta è che ci siamo capiti. Si tratta di celebrare il matrimonio in tavola tra due prodotti: un piatto del bacino mediterraneo (le aree di più antica origine sembrano Libano, Siria, Giordania, Palestina…); e una bevanda le cui radici millenarie, pur avvolte nel mistero, sembrano affondare sì a Est (Cina, India, Mesopotamia), ma che poi ha fatto fortuna, da emigrante, nel Nord Europa. Quindi, una volta messi l’uno accanto all’altra i due sposi, l’idea è di celebrarne il connubio dando al tutto un tocco tricolore. Con quali risultati? Scopriamoli insieme.
IL BABAGANUSH
Nativo del Medio Oriente e diffusosi in tutta l’Africa settentrionale, è noto anche come caviale di melanzane e attestato in varianti di ricetta alquanto numerose. Al netto delle cui specificità, consiste in una salsa preparata amalgamando il gusto dell’ortaggio protagonista con quello di alcune spezie. La versione di base, chiamiamola così, prevede grossomodo questi passaggi. Tagliare a metà le melanzane, per poi, a faccia ingiù, infornarle o grigliarle, facendone fondere (e leggermente affumicare) la polpa interna. Prelevare quest’ultima con un cucchiaio, sistemarla in un colino e con lo stesso cucchiaio, farne spurgare il residuo di umidità; quindi spostarla su un piatto e schiacciarla con una forchetta, riducendola in crema. Condirla con extravergine d’oliva, sale, pepe, aglio e succo di limone, amalgamare bene il composto e infine guarnire con altro olio, insieme a una polvere di menta tritata.
UN GUSTO SOLARE E VENTILATO
In un assaggio di babaganoush c‘è tutta la solarità ventosa del suo genoma territoriale. La consistenza è scioglievole; il profumo unisce le risonanze fungine della melanzana con la morbida vegetalità dell’olio, con la speziatura del pepe, con l’aromaticità tipica dell’aglio e con la balsamicità della menta; il gusto, poi, salda una coesiva e primeggiante dolcezza (di nuovo la melanzana) con delicate incursioni rinfrescanti di tipo acido (ancora il limone), piccante (qui torna il pepe), nonché sapido (conferite ovviamente dal sale aggiunto in preparazione). E con ciò la radiografia sensoriale della nostra salsa sarebbe conclusa. Manca però il promesso tocco d’italianità; che scegliamo di apportare stendendo la nostra crema su qualche bruschetta di pane toscano, con il suo peculiare profilo neutro e tale perciò, sotto cottura, da introdurre giusto un quid di croccantezza al palato e una vena di tostato alle narici. A questo punto, siamo pronti per la prova della tavola; sotto, dunque, con gli abbinamenti: nel numero di tre, secondo il nostro copione consueto. Tutti pensati tenendo presente che, a fronte di un profilo organolettico come quello del nostro piatto, risulta prudente evitare sorsate improntate a un taglio più o meno spiccatamente amaro.
CON LA HELLES
Coerenti con il principio generale appena enunciato, partiamo con una Munich Helles: quella che, in etichetta, reca le insegne del marchio romano Jungle Juice ed esibisce il nome commerciale di Brilla. Dorata nel colore e pulita nell’aspetto, rivela una gradazione modesta (siamo al 4.8%), ma del tutto sufficiente a gestire l’assai ridotta materia grassa del boccone; mentre al palato lascia dispiegarsi una dolcezza carboidratica che sembra fatta apposta per accogliere le lievi affilatezze della salsa. Infine, a livello aromatico, il bicchiere svolge tematiche panificate (da crosta appena imbiondita) che ricalcano quasi su misura quelle della bruschetta: le une e le altre, ovviamente, in funzione gregaria rispetto alle fragranze del babaganoush.
CON LA SPICED ALE
Una ricetta di base che richiama la tradizione delle Witbier belghe; un’elaborazione che, su tali fondamenta, si sviluppa nella direzione delle Spiced Ales. Ecco la nostra seconda bevuta: la Novi Luna targata Birrificio Maiella (a Pretoro, in provincia di Chieti). Colore dorato e trama ottica velata, la si produce con malto d’orzo e frumento crudo (varietà Senatore Cappelli), unendo la speziatura classica delle Blanche (coriandolo e scorza di arancia) al brio del pepe bianco e alle ariosità di diversi fiori locali, tra cui lavanda, camomilla e zagara. Al palato la sua prevalente dolcezza ricalca gli effetti generati dalla Brilla; mentre la sua maggiore acidulità porta addirittura un miglioramento (nonostante la minor gradazione, attestata sul 3.9%) nelle funzioni di gestione della materia lipidica in dote al boccone. Al naso, infine, il ricco e balsamico bouquet espresso dal bicchiere riprende e asseconda, in bella armonia, le analoghe note balsamiche che contrassegnano il babaganush.
CON LA SOUR ALE
Più audace (ma molto relativamente) il terzo abbinamento. Che fa salire sul quadrato una Sour Ale: l’originale e innovativa Atena, firmata (a Sinagra, in provincia di Messina) da Birra Epica. Si tratta di una ricetta sperimentale; che ruota attorno a un mosto di solo frumento (il grano Maiorca, per metà maltato, per metà crudo), nonché, e soprattutto, a una fermentazione sinergica tra due lieviti di genere diverso: Candida il primo a essere inoculato, Saccharomyces (specie cerevisiae) il secondo. Al tavolo il colore è paglierino e l’aspetto lievemente velato; la condotta palatale rimanda a quella della Novi Luna, accentuandone l’acidulità e incrementandone (fino a quota 5) la gradazione: perfezionando insomma sia le interazioni gustative con il boccone, sia la capacità di smaltirne la frazione grassa. Quanto all’olfatto, le sue florealità (da artemisia e tiglio), rinnovano, seppure con meno vigore aromatico, quel balletto con le balsamicità del babaganush che già si è fatto apprezzare nel round precedente e che consegna, nell’insieme, un incrocio sensoriale decisamente armonico.
BIRRIFICIO JUNGLE JUICE
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BIRRIFICIO EPICA
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