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Scenari

Il suino Sardo diventa Presìdio Slow Food

07 Dicembre 2023
Il Suino Sardo - ph Jacopo Goracci Il Suino Sardo - ph Jacopo Goracci

Mantello scuro, taglia piccola, zampe corte e robuste e una criniera di lunghe setole sulla schiena: ecco a voi il suino Sardo, appena entrato a far parte dei Presìdi Slow Food. Una razza rustica, allevata in tutta la regione, dalle Barbagie alle aree del Gennargentu e del Supramonte, ma anche in Ogliastra, nel Sarrabus-Gerrei, nell’area del Monte Linas e nel Sulcis-Iglesiente, di cui si trovano riferimenti antichissimi, ma che negli ultimi decenni aveva rischiato la scomparsa a causa dell’arrivo sull’isola della peste suina africana.

L’attitudine al pascolo
Dopo un lungo lavoro di eradicazione del virus, dal 15 dicembre del 2022 è caduto l’embargo sulle esportazioni di carni suine dalla Sardegna, una situazione che perdurava da quarant’anni. “Restano solo quattro comuni in zona rossa – ricorda il referente Slow Food del nuovo Presidio, Raimondo Mandis – mentre dal resto della regione è nuovamente possibile movimentare carni e salumi al di fuori dell’isola. Il riconoscimento come Presidio è un segnale, un modo per sottolineare l’importanza di promuovere forme di allevamento locali e pratiche di trasformazione virtuose, per evitare che si commercializzino carni che arrivano da fuori regione e che, in Sardegna, vengono soltanto trasformate, come tuttora in alcuni casi avviene. Abbiamo una razza autoctona da sostenere e valorizzare, simbolo della biodiversità locale e fortemente integrata nell’ambiente isolano”. Una razza che si è salvata grazie al lavoro di alcuni allevatori sostenuti dall’Associazione allevatori della regione Sardegna (Aars), che dal 1920 cura un libro genealogico di razza e che oggi si occupa anche dei controlli per la sua continuazione.

Il suino Sardo, il cui colore può variare dal nero al fulvo, passando per il grigio e il pezzato, è un grande pascolatore: “Tenace e resiliente, è in grado di procurarsi autonomamente il nutrimento nei boschi e nelle foreste della regione – prosegue Mandis – ed è anche per questo motivo che si è diffuso così tanto: alimentarlo e mantenerlo costava poco”. L’animale, 60 centimetri al garrese e un peso che oscilla tra gli 80 e i 150 chili, si nutre in particolare di ghiande, che nei lecceti abbondano: “Grazie al pascolamento, il cosiddetto semibrado controllato che prevede ampia libertà di movimento e una doppia recinzione per evitare che i suini domestici entrino in contatto con i cinghiali, l’animale si sposta parecchio e consuma molto dell’apporto nutritivo che assume grufolando. Ne deriva una carne dal grasso importante, ma dalle caratteristiche nutrizionali ottimali, con bassa percentuale di grassi insaturi – sottolinea il responsabile Slow Food del Presidio – E poi il suino Sardo non viene alimentato con insilati né assume antibiotici. Il finissaggio poi, con ghiande, carrube e castagne, assicura prodotti molto dolci”.

Il piatto simbolo della Sardegna
In Sardegna, una regione nota a livello internazionale per l’importanza e la diffusione dell’allevamento di pecore, quella di maiale rimane “la carne più consumata” spiega Mandis. Il maialino arrosto, su proceddu arrustiu, per molti rappresenta infatti il piatto regionale per eccellenza. “Non è una carne che si consuma quotidianamente – sottolinea – È il piatto che si prepara in occasione delle feste, è il simbolo del convivio e ha un valore culturale fortissimo: in alcuni nuraghi sono state rinvenute statuine bronzee raffiguranti il maiale domestico e il cinghiale. Insomma, in Sardegna abbiamo seimila anni di storia del consumo di maiale”. La carne di suino Sardo viene utilizzata anche in norcineria: se ne ottengono salumi come il prosciutto ogliastrino o barbaricino, la lonza, il guanciale, la coppa, la pancetta, il lardo maturo, i salami, la salsiccia sarda secca, la testa in cassetta e anche piccole mortadelle.

“Oltre alla tradizione gastronomica, l’allevamento del maiale ha un’importante dimensione sociale – conclude Mandis –. Nei boschi dove i maiali pascolano vengono da secoli rispettati i cosiddetti usi civici: qui le terre sono utilizzate dalla comunità e gli allevatori le occupano a rotazione, ciascuno per un certo periodo di tempo, assicurando a tutti la possibilità di nutrire i propri animali e conservando le risorse del bosco in modo bilanciato. Il tutto, naturalmente, soltanto nelle stagioni più fredde, i mesi nei quali i maiali non rischiavano di danneggiare le altre colture”. I produttori che aderiscono al Presidio Slow Food sono al momento tre, di cui due sono allevatori e uno soltanto trasformatore. Gli allevatori complessivamente interessati al programma di recupero della razza del suino Sardo sono una novantina, il triplo di vent’anni fa.