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L'intervista

Marco Simonit: “Vigna vecchia fa grandi vini. Eppure in Italia le estirpiamo a 20 anni”

25 Gennaio 2019
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Intervista con il Preparatore d'Uva: “I vigneti vecchi raccontano un territorio e un'azienda. Essere riconoscibili è fondamentale. L'enologo, poi, dovrebbe essere una figura più specializzata su una sola uva”


(Marco Simonit durante una lezione in vigna)

di Giorgio Vaiana

Potare una pianta ferendola il meno possibile; fare in modo che la vite viva il più a lungo possibile: formare il personale delle aziende affinché sappia gestire i vigneti nel migliore dei modi. 

Marco Simonit è uno dei preparatori d'uva, insieme a Pierpaolo Sirch più famosi e competenti del mondo. Il suo metodo di taglio della vite, ormai, è conosciuto, apprezzato e richiesto in tutto il mondo. Simonit, però, “punge” i produttori italiani: “Da noi, una vite a vent'anni viene considerata vecchia, una pianta da estirpare e sostituire con una giovane. Ecco, così facendo perdiamo l'identità di quel territorio. Provate a dirlo ai francesi di tagliare una vite di vent'anni e vedrete come vi risponderanno”. Già, ormai sembra banale e scontato fare il confronto con i “cugini” francesi, ma da loro c'è sempre da imparare. Perché se è vero che in Francia si produce meno vino che da noi, il valore dei vini francesi è incredibilmente più alto rispetto ai nostri. Ma c'è di più. E su questo Simonit ha ragione: in Francia un vino spesso rappresenta un'azienda, uno stile magari, o una particolare zona. Da noi questi casi, sono rari, anzi rarissimi. “I grandi vini, nel caso specifico parlo di alcune maison francesi, faccio qualche nome, come Domaine Leroy, Chateau de la Tour, Moët & Chandon – dice Simonit – ci hanno dato come primo obiettivo quello di far vivere il più a lungo possibile le loro vigne storiche. E permettere a quelle giovani di invecchiare nel migliore dei modi. Questo perché qui hanno compreso che i vini top, di altissima qualità, vengono dalle uve prodotte dalle vigne vecchie, che esprimono non solo il meglio, ma anche un territorio, anzi quel territorio dove sono cresciute. E diventano, così riconoscibili, non solo in Francia, visto l'esempio, ma anche nel mondo. Ecco perché i grandi marchi vogliono salvaguardare questo patrimonio”. In Italia, invece, l'età media delle vigne è relativamente bassa: “Da noi a 20 anni si pensa già a come estirpare i vecchi vigneti – spiega Marco – mentre in altre parti del mondo, le vigne a 20 anni iniziano a produrre vini di un certo tipo. Per fortuna pian piano c'è una diversa sensibilità nel nostro Paese e ci sono molte aziende che stanno lavorando verso questa direzione. Si tratta di un fatto culturale. La tradizione non presuppone la cultura, invece bisogna studiare e conoscere a fondo quello che si fa e, soprattutto, confrontarsi con chi è più bravo di noi”. 

E i Preparatori d'Uva servono proprio a questo: a formare le persone che poi, da sole, saranno in grado di gestire il vigneto e farlo vivere il più a lungo possibile: “Il nostro concetto di base è semplice – spiega Simonit – Abbiamo messo a punto una tecnica di gestione manuale della pianta volta a salvaguardare la salute e la longevità della pianta stessa, di dargli la possibilità di durare nel tempo e di dare alle aziende viti che in virtù della loro struttura anatomica riescono a vivere e resistere e a dare grandi prodotti, dei vini che in virtù dell'età della vigna possano essere riconosciuti”. Il preparatore d'uva è un mestiere difficile. Deve studiare l'azienda, capire cosa vuole realmente e poi “cucire” addosso un piano di interventi: “Ogni territorio è diverso, ogni azienda ha il suo stile – spiega Simonit – Noi abbiamo il compito di far trovare agli operatori che si occupano della vigna, la strada corretta per rispettare le piante e permettere alle piante stesse di esprimere le loro potenzialità”. Si alternano momenti di studio in classe, principalmente in inverno, a vere e proprie lezioni in mezzo alla vigna e i corsi, ormai, oltre che in tutta Europa, si tengono nel Nord e nel Sud dell'America, in Australia, in Nuova Zelanda e in Sudafrica. “Il percorso di formazione dura tanti anni – dice Simonit – e per questo parallelamente abbiamo ideato nel 2009 la scuola italiana della potatura con un diploma di primo e secondo livello. Oggi abbiamo 16 sedi in tutta Italia con una media di 450/500 alunni iscritti durante l'anno. Per non parlare del primo diploma universitario di potatura che abbiamo realizzato con l'università di Bordeaux, Oggi molti altri atenei stanno pensando di attivare questo corso, segno che finalmente si è compresa l'importanza di una corretta potatura”.

Simonit, poi, torna indietro negli anni, quando viveva in campagna insieme ai nonni: “Non avrei mai pensato di fare questo mestiere – racconta – Sono sempre stato un grande appassionato di piante, di alberi in particolare. La prima volta che ho incontrato una vigna mi ha appassionato tantissimo ed ho iniziato a disegnare le piante delle viti, riscontrando tutta una serie di situazioni morfologiche così diverse, tra cui ferite e piaghe provocate tutti gli anni dalle potature come si facevano un tempo. Così mi sono chiesto che cosa succedeva dentro la pianta che subiva queste ferite. Ho preso un tronco di vite, l'ho portato da un falegname e l'ho fatto dividere in due, accorgendomi di come dentro un sacco di legno era secco, morto. Da lì è iniziata la mia curiosità, il voler approfondire un sistema che potesse recare meno ferite possibili alla pianta, a ridurre l'impatto negativo dell'addomesticazione della vite, perché la potatura viene fatta solo da chi coltiva la vigna”. In questi 20 anni molte cose sono cambiate, “ma – dice Simonit – per forza di cose, perché le viti sono essere viventi, evolvono, cambiano e anche noi siamo cambiati per cercare di essere perfetti. Stiamo lavorando affinché si possano fare tagli ancora più piccoli riducendo le ferite e favorendo la cicatrizzazione, cercando di mantenere costante la prosecuzione dei flussi linfatici, perché se noi interrompiamo questo flusso, riduciamo la vitalità della pianta”. Secondo Simonit, poi, una potatura ben fatta può mettere la pianta nella condizione di avere maggiore capacità di adattarsi all'ambiente circostante: “C'è un nesso fra potatura e sostenibilità, ma soprattutto tra la potatura e la capacità di adattamento della pianta – dice – Ne abbiamo le prove nella Rioja, dove le viti, che non hanno a disposizione una sola goccia d'acqua per l'irrigazione, vengono preparate e gestite in maniera tale che possono vivere benissimo con poca acqua. Anche la ricerca sta cercando di creare in laboratorio vite resistenti, con il genoma editing. Io dico, ben venga. Ma la potatura non può prescindere dalla ricerca, così come la ricerca non può prescindere dalla potatura. Si va insieme. Il ricercatore fa un mestiere, il vigneron ne fa un altro”. 

Capitolo vini naturali. Simonit sorride un po' quando sente questo nome: “Mi viene difficile dirlo – dice – In natura se lasci l'uva così, non è che si trasforma in vino. E' sempre merito dell'uomo. Credo che però sia solo il termine sbagliato, perché per il resto tutte le cose che sono rispettose della materia prima e che consentono di avere espressione più originale possibile dell'uva sono molto interessanti. Meno manipolazioni, in senso negativo, ci sono, meglio è. C'è ancora molto da fare e da scoprire, ma mi piace molto questa idea. Noi lavoriamo con aziende biologiche e biodinamiche che fanno vini di questo tipo, cerchiamo sempre di permettere alle piante di strutturarsi in un certo modo per esprimere tutto il loro potenziale”. Secondo Simonit, in Italia, l'enologo dovrebbe essere una figura diversa, più specializzata, “come in Francia per esempio, dove esiste l'enologo del Pinot nero, l'enologo dello Chardonnay, l'enologo del Sauvignon. Ecco, dei tecnici che lavorano prevalentemente su certe tipologie. Il mondo è davvero ricco di sorprese, ma i dettagli sono l'ossessione dei grandi brand. E trovo che sia importantissimo, a certi livelli, curare le piccole ma fondamentali cose. Perché dettaglio dopo dettaglio acquisisci un'identità e vieni identificato in una certa maniera”. Il 2019 sarà un anno molto importante per i Preparatori d'Uva: “Intanto daremo vita al primo festival nazionale del potatore – dice Simonit – che si terrà il 9 marzo ad Erbusco in Franciacorta. La nostra idea è che questo festival diventi itinerante. Vedremo come andrà la prima edizione. Intanto, oltre l'aspetto conviviale, abbiamo pensato ad un contest, per premiare il miglior potatore d'Italia. Si potrà partecipare in maniera individuale o a squadre. Il vincitore andrà a gareggiare ai campionati del mondo che si terranno nel 2020 in Svizzera. Mi piacerebbe che a questa festa in Franciacorta partecipassero tante famiglie, per dare il giusto riconoscimento a chi lavora ogni giorno in vigna. Poi l'accademia della vigna, che è stata inaugurata all'interno del Castello di Spessa a Capriva, in Friuli. Nei nostri progetti dovrebbe diventare il cuore di tante iniziative, con un programma che si dipani lungo tutto l'anno. Stiamo mettendo a punto i dettagli. E poi il nostro manuale di potatura: dopo la versione in italiano e francese, quest'anno arriveranno i libri tradotti in inglese e tedesco”.