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La degustazione

Birra e olive: la “duplice intesa” della gastronomia mediterranea

19 Febbraio 2023
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di Simone Cantoni

Uno dei prodotti più rappresentativi della cucina mediterranea.

Uno tra gli ingredienti più nutrienti, più gustosi e anche più sani (a patto di essere consumati con giudizio, ovviamente) di quella stessa tradizione gastronomica. Una tra le più prolifiche fonti d’ispirazione per la composizione di ricette capaci di spaziare a tutto campo – come i migliori calciatori “totali” – tra le “linee” dell’antipasto, dello spuntino, del primo e del secondo piatto, con incursioni anche nel territorio dei dessert. Sua Maestà l’Oliva. Un frutto, come vedremo, ben equipaggiato in grassi; e dunque provvisto di una vocazione “naturale” all’abbinamento con una sorsata fisiologicamente dotata di funzioni di gestione lipidica, quali effervescenza, alcolicità e (più o meno sensibile) acidità: una sorsata come quella garantita da un buon bicchiere di birra. “Tutto bello, tutta gioia”, allora? Certo che no. Il connubio funziona (eccome), a patto di dare il giusto peso ad alcune regole d’ingaggio, in merito, appunto, ai criteri di abbinamento. Ma andiamo con ordine: e iniziamo con l’esplorare il “microcosmo” racchiuso in un’oliva.

L’OLIVA AL MICROSCOPIO
Il suo contenuto medio vede, come frazione largamente prevalente, quella costituita da acqua, la cui proporzione si attesta sull’80%. Dopodiché – oltre a minori quantità di vitamine (0,001%), sali minerali (0,1%), proteine (attorno all’1%), polifenoli (1,5%), fibre (3%) e carboidrati (6,5%) – la voce più consistente è quella relativa ai grassi: che ammonta all’11% grossomodo, ripartiti tra un 1,5% di saturi e un 9,5% di insaturi. Ovviamente questi rapporti cambiano in funzione di numerose variabili; tra esse il grado di maturazione del frutto, che si presenta verde (in quanto ricco di clorofilla) da giovane, per farsi poi via via più tendente al bruno o al violaceo: una tonalità (determinata dall’aumento di antociani) che, per esigenza di semplificazione, viene detta “nera”, sebbene tale non sia (e quando effettivamente così risulta, lo è per effetto di trattamenti chimici coloranti, a base di gluconato ferroso o lattato ferroso, composti stabilizzanti non dannosi per la salute).

L’OLIVA AL PALATO
Ora, da quanto appena pur sommariamente detto, discende ciò che, delle olive, viene percepito all’assaggio, in termini di profilo gustativo-palatale. Un profilo nel quale la componente lipidica gioca un ruolo di rilievo preminente; e giacché tale componente è costituita in rilevante misura da acidi grassi, ad essa è connesso un fisiologico timbro d’impronta acida. Le olive appena raccolte, poi, manifestano, in virtù della riferita frazione polifenolica, una spiccata tendenza amara e astringente (talvolta piccante): per mitigare la quale si applicano pratiche non a caso designate come “deamarizzanti”, ad esempio (in casa) l’ammollo in acqua e sale, con periodici ricambi del liquido. Peraltro, nelle olive nere, la maggiore maturità del frutto provvede di per sé, mediante la superiore incidenza delle componenti zuccherine, a orientare l’assetto organolettico verso valori di bilanciamento più equilibrati, quando non sensibilmente dolci. Infine c’è la “partita” del patrimonio aromatico: imperniato attorno a una nota varietale non descrivibile se non ricorrendo a una tautologia, ovvero “aroma di oliva”; ma ricco anche di sfumature particolari riconducibili, tra altri riferimenti, all’erbaceo, al carciofo, alla mandorla. Insomma, parafrasando il celeberrimo motto di Kuaska riguardante l’ambito brassicolo, possiamo chiosare così: “non esiste l’oliva, esistono le olive”. E, non bastasse, esistono le decine di modi diversi per impiegarle in cucina. Vediamo allora – parlando di abbinamenti con la birra – alcune “indicazioni” di lavoro utili in questo “dedalo” di possibilità differenti.

INSALATA E CREAM ALE
Si parte con un “faccia a faccia” dai toni gentili: nella scodella un’insalata; nel bicchiere una Cream Ale, tipologia della tradizione statunitense, contenente anche mais e assai oculata nell’uso di luppolo in bollitura vigorosa, al fine di estrarre sensazioni amare in misura quasi impercettibile. Così è, di certo, per l’esecuzione alla quale ci si è affidati nel caso di specie: quella targata “Canediguerra” (Alessandria), dal colore chiaro, dal corpo leggero (a non sovrastare la consistenza del boccone), dal gusto come detto secco ma morbido, quasi neutro nelle sue dominanti panificate. Ecco: la sensazione di una mollica ben cotta è quella che, olfattivamente, accompagna, in disciplinata posizione gregaria, gli aromi della nostra insalata; la quale viene preparata con indivia, olive verdi e nere, pomodori, mozzarella, un filo di extravergine e un pizzico (volendo) di sale. Quanto al gusto del piatto, un paio le considerazioni fondamentali. La prima: di materia grassa ce n’è, sì (il formaggio, le olive e l’olio), ma in misura bilanciata ad opera di pomodori e indivia; morale, la birra, sebbene non una campionessa in fatto di gestione lipidica (bollicina soffice, alcol al 4.5%), ugualmente non fa fatica a sostenere la sfida. Seconda considerazione: i sapori in circolo, benché mitigati dalla portata lattea della mozzarella, si orientano al sapido e all’acido; di qui la scelta di una sorsata levigata e priva di amaricature potenzialmente confliggenti. In sintesi: prima prova da promuovere…

FUSILLI E WITBIER
Si vada quindi, senza porre altro tempo in mezzo, al secondo abbinamento. Anche in questo caso una pietanza semplice: fusilli conditi con olive verdi, aglio, olio e pepe; ma, rispetto a prima, un’incidenza leggermente maggiore (immaginando una guarnitura sostanziosa) sia da parte delle componenti grasse sia da parte di sensazioni dure, quali piccantezza e acidità. Dunque, per una buona combinazione in tavola, ricalibriamo la ricerca della birra-partner spostando la “lancetta delle esigenze” secondo una duplice direzione: più in alto, relativamente alle funzioni di gestione lipidica; più in basso (ancor più, rispetto a prima) relativamente alle percezioni amaricanti. Soluzione? Una Witbier; nello specifico la “Sunshine Blanche”, firmata (a Roma) da “Rebel’s Brewery”. La quale non solo assolve alla perfezione le aspettative riguardanti la sua condotta gustativo-palatale; ma, avvalendosi di speziature in aggiunta diretta (coriandolo, pepe rosa e pepe di sichuan e loomi, cioè lime essiccato al sole), apporta un “quid pluris” olfattivo le cui direzioni dialogano assai bene con quelle del pepe e delle olive. Il tutto con una bevuta di nuovo inchiodata ai 4.5 gradi alcolici…

POLLO E MÄRZEN
E per finire, un po’ di “ciccia”. Quale? Del petto di pollo a fette: cotto in padella su un fondo di cipolla e burro, per poi – nell’imminenza dello spegnimento della fiamma – guarnirlo con olive, sale e pepe, più, volendo, del prezzemolo. In questo caso cresce la spinta dolceacida e sapida; dunque è consigliabile puntare su un bicchiere non semplicemente “non amaro”, ma posizionato alquanto più in alto sulla scala dei residui zuccherini: quantomeno a un livello di abboccato. Aumenta inoltre la consistenza del boccone; quindi risulta opportuno cercare una sorsata proporzionalmente più robusta nella corporatura. E poi, a livello olfattivo, ci sono da considerare le crostificazioni prodotte dalla carne nel corso della permanenza sulla fiamma: da riprendere, se possibile, con analoghe sensazioni di tostatura. Gli indizi fanno convergere su tipologie birrarie in abito ambrato, quali, ad esempio, una Märzen; nella circostanza si è scelto in particolare quella, molto diligente, brassata, a Modena, dal marchio “Labeerinto”: si chiama “Pasifae”, fa registrare 5.7 gradi alcolici e consegna una bevuta morbida, intonata a impressioni di caramello e mandorla. Possiamo dirlo: missione compiuta!

CANEDIGUERRA
Via del Prato, 11 – Alessandria
T. 0131 325438
info@canediguerra.com
www.canediguerra.com

REBEL’S BREWERY
Via Ardeatina, 931 – Roma
T. 06 87165259
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www. rebelsbrewery.it

LABEERINTO
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T. 059 8772601
335-5438807
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www.labeerinto.it