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L'intervista

Etna off/15. Massimiliano Vasta: “Grande rispetto per la Doc, ma il Vulcano è anche altro”

31 Gennaio 2024
Massimiliano Vasta Massimiliano Vasta

Ci sono dei libri che lasciano il segno e altri in cui lo trovi. Così è capitato a Massimiliano Vasta, chef e imprenditore di Riposto, in provincia di Catania, che da pochi mesi è entrato sul mercato del vino con “Zupé”, prima referenza frutto della sua vigna in contrada Tartaraci sul versante nord ovest dell’Etna. Quello dei Vasta è nome noto nella costa jonica e in quel versante est dove già nel 1977 il padre di Massimiliano imbottigliava Etna Doc, come racconta: “Noi di famiglia eravamo produttori di vino a Milo. Più di cinquant’anni fa si erano fatti dei grossi investimenti per la vendita anche negli Stati Uniti avendo in mente un progetto agricolo molto ampio ed etichettando già come “Contrada”, per l’esattezza “contrada Puma” perché intorno la vigna c’era, appunto, una proficua coltivazione di mele. L’azienda si chiamava Filetti, poi vuoi per investimenti sbagliati vuoi per lo scandalo del metanolo fallì. Quella vigna oggi rivive grazie a un’azienda che l’ha rilevata all’asta, e di questo  ne sono felice. Oggi quella è l’azienda Iuppa. Tornando a quegli anni, nel frattempo mio padre continua a fare vino per i fatti suoi, io avvio altri miei progetti come l’enoteca e il ristorante e con gli anni, successivamente, mio padre va via”.

“Zupé” ovvero Zio Pietro, il papà di Massimiliano, così lo chiamavano, se n’è andato ma è fra le pagine di uno di quei libri ai quali si approcciano gli aspiranti sommelier che ha voluto lasciare un segno, affidando così al destino tutto il resto: “Quando era in ospedale non c’era modo per calmare il suo dolore se non distrarlo, così un giorno gli portai un libro di sommellerie. All’inizio era un po’ contrariato poi gli era piaciuto. Mesi dopo ho prestato quel libro a un mio collaboratore il quale fra le pagine aveva trovato degli appunti di mio padre: aveva messo nero su bianco un suo piccolo progetto di vigna. Per me è stato un segno del destino. Sono passati sei anni e da tre, dopo varie ricerche, ho trovato la vigna che mi ha emozionato e che mi ha permesso di tenerlo, in qualche modo, in vita”,rracconta Vasta. Quella vigna Massimiliano l’ha trovata a Tartaraci da una famiglia che conosceva bene anche la sua. Quell’acquisto non è stato altro che riportare in vita suo padre al quale l’etichetta è dedicata offrendo, come dichiara, un’espressione vivace di questa porzione di territorio: “La scelta di acquistare qui è stata dettata dalla ricerca di un piccolo vigneto anche in linea con le mie possibilità. Avevo trovato qualcosa nell’areale della Doc, ma non ero convinto. Appena ho visto quella me ne sono innamorato. È poco meno di un ettaro a 960 metri sul livello del mare. Stiamo seguendo un percorso vicino alla biodinamica. Il sistema di allevamento è ad alberello, posizionato a spalliera, come se fosse un unico terrazzo pianeggiante. Ci sono dei tralci piuttosto grossi, il vigneto è prevalenza Grenache. Questo vino è frutto di tutto quello che c’è in vigna, un po’ di Sangiovese, Minnella e Grecanico. Sono stato seguito da Salvo Giardina per la produzione. Il vino ha fatto vetroresina e poi acciaio. Per la 2022 abbiamo ottenuto un vino fresco, divertente, così come piaceva a mio padre questo rosso non rosso, stile Susucaru di Cornelissen. In bocca ha grande acidità, è vino da bere da aperitivo, non è di grande struttura ma di bei profumi. La prima produzione è 1700 b.ottiglie”.

Se il segno lasciato su quel libro è chiaro lo è altrettanto il segnale che lancia il neo produttore a tutti quelli che in doc e fuori doc producono vino sul Vulcano: “Credo che il territorio Etna sia arrivato in alto grazie alla denominazione. La Doc ha la sua importanza. Il mascalese deve rimanere il vitigno principe, anche se facendo ricerca sicuramente c’è una parte dell’Etna che è stata invasa dai non autoctoni e anche loro trasmettono altre emozioni. Diciamo che ci danno altro, altre sensazioni di vini di montagna. Entrambe le cose possono coesistere. In generale dovremmo immaginare l’Etna come una montagna vitata che può esprimere emozioni diverse. Da ristoratore poi posso dire che il vulcano in generale porta entusiasmo, quindi affascina in tutte le sue sfumature. Bisogna avere rispetto del marchio Doc e di chi ha portato l’Etna a un livello alto grazie alla loro conoscenza e le strade giuste”.